giovedì 31 marzo 2016

Thursday's child

La trama (con parole mie): proseguono le settimane prive di particolari guizzi per il Cinema tipiche dell'inizio di primavera post-Oscar. Se non altro, nel corso del prossimo weekend in sala potrete tentare la sorte con una serie di proposte più vicine ai gusti del sottoscritto che non a quelli come sempre discutibili del mio acerrimo rivale nonchè co-conduttore della rubrica Cannibal Kid, lo pseudo radical più egocentrico della blogosfera, che si meriterebbe una bella maratona delle pellicole di Renzo Martinelli come punizione.
O forse no. Mi pare troppo perfino per lui.

"Peppa, adesso ti faccio vedere io cosa vuol dire prendersela con American Sniper!"
L'ultima tempesta

"Non vedo Cannibali all'orizzonte. Posso riferire al Capitano Ford."
Cannibal dice: Prima fordianata della settimana. Un'avventura marittima di cui faccio volentieri a meno e che lascio a quel vecchio lupo di mare che mi ritrovo per blogger rivale.
Ford dice: fordianata o no, ciofeca o no, questo film potrebbe essere un discreto intrattenimento da serata popcorn, considerate le tematiche ed il regista, che qualche anno fa mi aveva sorpreso in positivo con Lars e una ragazza tutta sua.
Staremo a vedere. Intanto, progetto di lasciare il Cannibale al largo, senza alcun salvagente o bracciolo.



13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi

"Cannibal, molla quel blog o ti faccio saltare la testa!"
Cannibal dice: Seconda fordianata della settimana. Pellicola a tematica bellica/terroristica che puzza di americanataputtanata lontana un miglio. Non a caso è firmata da Michael Bay.
Ford dice: nonostante il cast e la durata - due ore e mezza! - non mi attirino neanche per sbaglio, il buon Michael Bay, dopo Pain&Gain, ha riguadagnato punti, da queste parti, quindi chissà che non possa pensare ad una seconda visione da serata popcorn in una settimana very, very easy.



Love and Mercy

"Forza, ragazzi: quel tordo di Peppa si è di nuovo buttato in acqua strafatto. Andiamo a salvarlo!"
Cannibal dice: Bel film dedicato alla complessa figura di Brian Wilson dei Beach Boys già recensito su Pensieri Cannibali (http://www.pensiericannibali.com/2015/12/love-treno-mercy.html). Non un capolavoro totale, ma una visione decisamente consigliata agli amanti di bella musica & buon cinema. Quindi non a Ford.
Ford dice: pellicola giunta in ritardo clamoroso in Italia - come al solito - che ero davvero curioso di vedere fino a quando il mio antagonista Cannibal Kid non ha deciso di semi promuoverla.
A questo punto non so se sperare di essere per una volta d'accordo con lui, o in completo disaccordo: una visione, comunque, ci sta, considerati il cast e tutta la buona musica che i Beach Boys hanno regalato al mondo.



La comune

"Chi vuole un altro White Russian alzi la mano!"
Cannibal dice: Nuovo film diretto da Thomas Vinterberg, regista danese non interessante quanto il grande Lars Von Trier, ma comunque da tenere sempre d'occhio. Anche se questo suo nuovo lavoro mi sa di roba un po' troppo hippie retrò alla James Ford per convincermi in pieno.
Ford dice: Vinterberg, regista appartenente al movimento che negli anni novanta portò alla ribalta il Cinema danese decollato poi con l'ormai bollito Von Trier, nel tempo ha recuperato terreno rispetto al conterraneo e sfoderato un filmone clamoroso come Il sospetto. Per quanto, dunque, non ne sia particolarmente attratto, penso che una visione a questo La comune la concederò, non fosse altro che per la speranza di vedere il buon Thomas segnare ormai il definitivo sorpasso rispetto al folle Lars.



Desconocido - Resa dei conti

"Scendi dalla macchina, Ford! Non ti azzardare a fare un altro metro alla guida!"
Cannibal dice: Negli ultimi tempi il cinema spagnolo mi ha regalato più che altro delle delusioni. Questo thriller con il sempre valido Luis Tosar di Cella 211 e Bed Time però mi ispira parecchio e sento che potrà invertire la tendenza. Vamos!
Ford dice: passata la sua stagione migliore qualche anno fa, il Cinema spagnolo sembra rientrato nei ranghi quasi più di Cannibal dopo una sconfitta in una Blog War. Questo thriller, però, complice la presenza del sempre ottimo Luis Tosar, potrebbe essere una piacevole eccezione. Staremo a vedere.



Race - Il colore della vittoria

"Evvai! Un altra vittoria per il Team Ford sugli adepti del Team Cannibal!"
Cannibal dice: Pellicola che sembra correre a metà strada tra sport e tematica razziale. La vicenda che racconta sembra piuttosto interessante, la qualità cinematografica invece è tutta da verificare. Al contrario dei film sponsorizzati da WhiteRussian: quelli la qualità non sanno manco cos'è.
Ford dice: pellicola che testimonia una vicenda fondamentale per lo Sport e la Civiltà in genere che pare, però, raccontata come la più classica delle spielbergate da Oscar. Speriamo solo di sbagliarci, e che possa sorprendere in positivo.
Cannibal, invece, non sorprende mai: è sempre una pessima conferma.



Un bacio

"Andiamo a festeggiare! Cannibal Kid è stato appena espulso dalla scuola!"
Cannibal dice: Una pellicola teen che sembra proprio una gran cannibalata coi fiocchi. In una settimana per il resto fin troppo fordiana, ci voleva!
Ford dice: cannibalata teen? No fordianata? Ahi ahi ahi ahi ahi ahi!


Wax - We Are the X

"Finalmente un posto incontaminato privo di Cuccioli Eroici!"
Cannibal dice: Film on the road italiano che non mi sento di escludere del tutto, come invece farei con Ford dalla blogosfera.
Ford dice: credo che tutta la blogosfera ormai sappia della riluttanza con la quale mi approccio alle nuove proposte italiane. Quasi più di quella che riservo ai film consigliati da Pensieri Cannibali.



On Air - Storia di un successo

"Ed ecco a voi la versione radiofonica della rubrica di Cannibal e Ford. Peccato che loro non si siano presentati."
Cannibal dice: Pellicola dedicata a Marco Mazzoli, dj e autore del programma Lo zoo di 105, che ogni tanto ascolto, anche se non ne sono un fan devoto. Come film sembra una gran baggianata, però sempre meglio On Air - Storia di un successo di WhiteRussian - Storia di un insuccesso uahahah!
Ford dice: davvero era necessario un film che raccontasse le gesta di un dj ed autore di Radio 105!? Credo di no.
Ma del resto, neppure il Cannibale è necessario alla blogosfera.



Come saltano i pesci

"Prova ancora a prendere le parti di Cannibal e ti gonfio!"
Cannibal dice: Negli ultimi tempi ho parlato in maniera positiva e fiduciosa del cinema italiano già troppo spesso. Con questo film però non ho proprio intenzione di farlo. Saltato!
Ford dice: dalle mie parti, i pesci saltano in padella.
Questo film, invece, finisce dritto nell'umido.



Ustica

"E dopo Ustica, nel mio prossimo film svelerò la verità a proposito del legame tra Cannibal e Ford!"
Cannibal dice: Il regista preferito di Mr. James Ford, Renzo Martinelli, torna a colpire e questa volta ci racconta la verità, o almeno la sua verità, su Ustica. Io preferisco non saperla.
Ford dice: se Come saltano i pesci salta direttamente nell'umido, Ustica, firmato da uno dei peggiori registi di sempre, Renzo Martinelli, finisce direttamente spedito nelle discariche spaziali.



Billy il Koala

"Me ne vado da qui: voglio emigrare in un continente in cui non esista Peppa Kid."
Cannibal dice: In una settimana all'insegna del fordismo più sfrenato, poteva mancare una bambinata, e per giunta un'australianata?
Certo, poteva mancare. In un mondo ideale dove Ford non esiste proprio. O al massimo vive in Australia.
Ford dice: ho visto il trailer di questo film prima di Kung Fu Panda 3. E nonostante l'ambientazione australiana, non mi è parso nulla per il quale correre a fare il biglietto.
Per stare abbastanza lontano da Peppa Kid, invece, tornerei ben volentieri nella Terra dei canguri. A sue spese, ovviamente.


mercoledì 30 marzo 2016

The Armstrong Lie

Regia: Alex Gibney
Origine: USA
Anno: 2013
Durata: 124'






La trama (con parole mie): nel duemilanove, alla vigilia del suo rientro nelle competizioni a quattro anni dal ritiro, Lance Armstrong, vincitore di sette Tour de France, sopravvissuto al cancro, uno dei ciclisti più amati e rappresentativi del mondo, è seguito da Alex Gibney, documentarista, che dovrebbe raccontare il suo clamoroso comeback.
Quando, però, scoppia lo scandalo doping destinato a segnare per sempre vita e carriera di Armstrong, Gibney è costretto a cambiare rotta e mettere in standby il film, che da celebrazione diviene un documento sul periodo più buio della carriera di un atleta divenuto un vero e proprio lupo cattivo agli occhi degli specialisti, degli appassionati e della stampa.
Ma Armstrong è davvero così terribile come lo si è dipinto, o è solo il volto più noto di un sistema corrotto da fin troppi anni?










Se torno con la memoria a quando ero bambino, di fatto mi pare di essere cresciuto a pane e ciclismo.
Mio padre, appassionato a questo sport fin da bambino, lo ha sempre praticato e seguito assiduamente, e tra racconti di cadute e corse di ciclocross invernali, pomeriggi estivi con lui appostato in poltrona per i tapponi più impegnativi del Tour, cadute vissute sulla pelle - quante volte ricordo la sua bicicletta riportata a casa da estranei, con mia madre ogni volta sull'orlo dell'infarto! -, la clavicola sbriciolata che mi regalò tre mesi a casa in sua compagnia ai tempi delle elementari, quando guardammo tutta la serie di Ken il guerriero insieme in tv, il periodo in cui io stesso provai a cimentarmi con la bicicletta, di fatto sento questo sport come parte di me.
Uno sport duro, fatto di sacrifici e stress fisici pazzeschi, tanto più alto è il livello della competizione.
Ricordo bene anche Lance Armstrong.
Considerato, infatti, che il mio preferito da bambino era Greg Lemond, altro illustre ciclista americano, l'arrivo di questo ragazzo del Texas, divenuto a sorpresa il più giovane campione del mondo nel novantatre a Oslo, spalancò le porte della speranza del sottoscritto di vedere una nuova promessa diventare una delle realtà più interessanti del ciclismo mondiale: in realtà il buon Lance nei primi anni di carriera conquistò giusto qualche vittoria sulle grandi gare singole, senza spiccare particolarmente, invece, nei giri, fino all'estate del novantacinque.
Pochi giorni dopo la tragica morte del compagno di squadra Fabio Casartelli a seguito di una caduta, infatti, Armstrong vinse in solitaria la diciottesima tappa puntando gli indici al cielo come nel più emozionante dei film, rimanendo impresso nella mia memoria.
Peccato che, non molto tempo dopo, gli fu diagnosticato un cancro che lo portò ad affrontare una serie di interventi che lo davano spacciato almeno al cinquanta per cento - e di nuovo pare entrare in gioco il Cinema, in particolare 50/50 - ed una chemioterapia sperimentale che misero in discussione la sua intera carriera: inutile dire che, al suo ritorno alle corse, nel novantanove, con la conseguente vittoria a sorpresa nel Tour, il mondo fu letteralmente conquistato.
Quello fu l'inizio dell'impero e della bugia di Armstrong, che sfruttando la sua indole battagliera e l'aggressività tipica dell'americano vincente, con l'aiuto di alcuni specialisti, medici e team manager, compagni compiacenti ed una fame di vittorie incontrollabile, dominò per sette anni la corsa a tappe più prestigiosa del circuito, seminando nel frattempo una lunga serie di inimicizie sia a livello personale che professionale, che gli costarono, proprio a seguito del ritorno del duemilanove, una delle cadute più rovinose della Storia dello Sport, con conseguente annullamento delle già citate sette vittorie al Tour, un'indagine federale con rischi di risarcimenti milionari e la radiazione a vita da qualsiasi competizione ciclistica.
Alex Gibney, testimone involontario di questi eventi e della prima ammissione pubblica di Armstrong di aver assunto sostanze dopanti nel corso degli anni dei suoi successi - su tutte l'EPO, ma ricordiamo anche l'utilizzo massiccio di trasfusioni di sangue per ossigenare il più possibile annullando di fatto il rischio di essere scoperti -, avvenuta nel corso di una storica intervista con Ophra, porta sullo schermo una vicenda senza dubbio a forti toni di grigio mantenendosi quanto più possibile super partes, mostrando il lato dispotico tanto quanto quello umano di un campione che ha avuto, a mio parere, più la colpa di essere il più riconoscibile di uno sport, e l'eroe di migliaia di persone nel mondo - soprattutto se si pensa alla guarigione dal cancro ed al ritorno alle competizioni professionistiche - che non quella di aver assunto sostanze dopanti.
Certo, è giusto che le regole vengano seguite e che Armstrong - come chiunque altro - sia punito una volta colto in flagrante, ma il dubbio che sia stato usato come sorta di grande capro espiatorio per un sistema corrotto praticamente da sempre - mio padre stesso raccontava di come il doping fosse presente già ai tempi delle sue corse giovanili così come ora tra gli amatori settantenni, e non parliamo in nessuno dei due casi di professionisti -, che vide e vede coinvolti praticamente ogni anno ciclisti di tutto il mondo: non voglio, con questo, giustificare il fatto, ma sentire Armstrong che afferma "io volevo vincere, e considerato che tutti facevano uso di sostanze illecite, era l'unico modo per poter essere all'altezza degli altri" non suona neppure così strano.
Perfino la pulita - a quanto affermano anche i suoi detrattori più convinti - e faticosissima terza posizione guadagnata al Tour del duemilanove - quello del rientro - vinto dal compagno di squadra Contador che venne squalificato per doping l'anno seguente pare l'esempio clamoroso di un sistema che, così com'è, non può funzionare: l'alternativa migliore per un ciclismo finalmente pulito potrebbe essere quella di rendere più a portata "umana" i grandi giri, permettendo ai corridori un recupero che non porti ed induca all'utilizzo di sostanze illecite, o la clamorosa decisione di rendere, di fatto, le stesse lecite, o quantomeno tollerate quanto sono, ad esempio, nel football americano.
Rimanendo, infatti, a questi livelli di difficoltà e di media di velocità per tappa, l'utilizzo di metodi come quelli seguiti da Armstrong e dai suoi risulterà sempre quasi "normale", seguito da medici che continueranno ad elaborare metodi per evitare i controlli e da un muro di omertà che coinvolgerà l'intero carrozzone - esemplare, in questo senso, la "lezione" data da Armstrong al ciclista italiano Filippo Simeoni -.
Di fatto, da questo documentario, esce il ritratto di un uomo ossessionato dalla vittoria e dal potere, divenuto prima il simbolo di uno sport e dunque il suo anticristo: io continuo a pensare che, etica o no, abbia pagato un prezzo perfino troppo alto principalmente perchè protagonista assoluto.
Del resto, la caduta di un re è sempre più eclatante di quella di un contadino.
E se un re fosse furbo, dovrebbe sempre pensare a come evitare che i contadini, per invidia, rancore o voglia di emergere, possano pensare ad una rivoluzione: perchè la testa più importante destinata a saltare sarà sempre e comunque la sua.




MrFord




"When it was the right time, I caught her
and she was dead in the water
I found her in her tracks
she heard me answer back
liar liar,
she's on fire
she's waiting there around the corner
just a little air, and she'll jump on ya'."
Chris Cab - "Liar liar" -





martedì 29 marzo 2016

Batman vs Superman - Dawn of justice

Regia: Zack Snyder
Origine: USA
Anno: 2016
Durata: 151'






La trama (con parole mie): a seguito della battaglia di Metropolis, che ha consacrato come un eroe planetario Superman e causato numerose vittime, tra le quali dipendenti di una delle proprietà del multimilionario Bruce Wayne, alias Batman, paladino oscuro di Gotham, quest'ultimo ed una parte dell'opinione pubblica guardano con sospetto il kryptoniano, inconsapevolmente guidato verso una rivalità non voluta dalle azioni del giovane e poco equilibrato Lex Luthor.
Quando, grazie alle macchinazioni del magnate, Superman e Batman si trovano in rotta di collisione e la battaglia tra i due pare favorire la Lex Corp, l'intervento di Lois Lane unito alle ricerche di Wayne cambiano le carte in tavola: stabilita una pur fragile alleanza, i due eroi affiancati da Wonder Woman si troveranno ad affrontare un ibrido chiamato Doomsday, scatenato proprio da Luthor.











Non avrei mai pensato, considerati i "nostri" trascorsi, di poter affermare che un film firmato da Zack Snyder potesse lasciarmi, di fatto, quasi completamente indifferente, o annoiato: in passato, dal riconoscimento di lavori come L'alba dei morti viventi o Watchmen fino alla completa bocciatura di porcatone come 300 o Sucker Punch, il tamarrissimo regista aveva quasi sempre suscitato una certa reazione, nel sottoscritto, tanto da alimentare, in un modo o nell'altro, la voglia di scrivere a proposito del suo lavoro.
Della serata che ha visto i Ford in "libera uscita" con il Fordino dai nonni, invece, mi resterà probabilmente soltanto il ricordo della monumentale cena al jappo all you can eat prima del film e dello spassoso gioco dell'Alfred e Bruce Wayne sfruttato nel parcheggio del Cinema a causa della recente installazione del seggiolino per la prossima nuova arrivata di casa Ford sul sedile del navigatore che pone di fatto il sottoscritto dietro accanto, per l'appunto, al Fordino, con tanto di portiera aperta e chiusa e gente a bocca aperta ad osservare la donna incinta che faceva scendere e salire un tamarro poco raccomandabile dalla macchina come se fosse la sua autista.
Del film, al contrario, se non due ore e mezza di pesantezza e grigiore abominevoli, resta davvero poco che possa rendere il titolo diverso da molti che l'hanno preceduto o far pensare che possa essere una base di partenza da urlo per l'imminente Justice League, risposta di casa DC agli Avengers targati Marvel: proprio rispetto al supergruppo della Casa delle Idee, le colonne Batman e Superman paiono privi dell'ironia necessaria per catturare anche il pubblico meno nerd o dei più piccoli - ho visto padri e figli giunti in sala giungere con grande fatica e molto sonno alla conclusione - ed allo stesso tempo anche della drammaticità autoriale della trilogia legata all'Uomo pipistrello firmata da Christopher Nolan - nonostante, occorre dirlo, Affleck non se la cavi affatto male nei panni di Wayne, e sia spalleggiato da un ottimo Alfred interpretato da Jeremy Irons -.
Usciti dalla sala, il pensiero - oltre al sollievo - era rivolto alla freschezza di una proposta pur diversa come Deadpool - che fa letteralmente polpette del lavoro di Snyder - ed ai paragoni impietosi di sequenze pur ben realizzate come quella della scazzottata tra Superman ed il Batman in versione "armatura pesante" - forse la migliore del film - e l'equivalente tra l'Iron Man "Hulkbuster" e, per l'appunto, Hulk del pur spento secondo Avengers, senza contare l'interpretazione fastidiosa e sempre priva di novità di Jesse Eisenberg, che pare aver esportato il suo Zuckerberg in qualsiasi altro film interpretato, oltre a tentare - fallendo miseramente - di ricordare l'indimenticabile Joker di Heath Ledger.
Poco importa, poi, della scarsa fedeltà a quelle che sono le vicende narrate sugli albi a fumetti - soprattutto riguardo al personaggio di Doomsday - o degli effettoni mirabolanti: Batman vs Superman resterà un videogiocone che avrebbe potuto regalare al suo pubblico tre quarti d'ora in meno - la storia ormai arcinota dell'infanzia di Bruce Wayne, gli inutili inserti onirici sempre legati all'Uomo Pipistrello - ed un tentativo di rendere, almeno in parte ed almeno in sala, cool anche eroi certamente meno interessanti di quelli Marvel i paladini della DC, che paiono divinità scese in terra incuranti della popolazione e degli effetti e conseguenze della loro presenza: in questo senso, il tentativo di sfida di Luthor ha quasi senso, così come la scelta del grande pubblico, che in sala come per le letture, ha sempre nettamente favorito i charachters creati da Stan Lee e soci, meno "divini" e pronti a portare in primo piano i loro problemi, e non i favolosi poteri.
Ma chissà, forse tutto nasce, per quanto mi riguarda, dal senso di appartenenza che provo rispetto all'essere Umani - in tutti i sensi, positivi e negativi, del termine - a fronte dell'algida distanza e spropositato ego dell'essere divini.





MrFord





"Justice is lost
Justice is raped
Justice is gone
pulling your strings
Justice is done
seeking no truth
winning is all
find it so grim
so true
so real."
Metallica - "And Justice for all" - 






lunedì 28 marzo 2016

Gods of Egypt

Regia: Alex Proyas
Origine: USA, Australia
Anno: 2016
Durata: 127'








La trama (con parole mie): ai tempi della massima prosperità della civiltà egizia, dei e uomini condividevano questa Terra ed un destino che, prima o poi, avrebbe portato attraverso la morte all'eternità entrambi. Quando Osiride, che per mille anni aveva retto in pace l'impero, decide di lasciare il suo trono al figlio Horus, però, il fratello del sovrano, Set, spodesta il nipote e si insedia dando inizio ad un periodo di terrore mosso dall'intento non solo di soggiogare mortali e non, ma anche di rimodellare la realtà stessa.
Quando una coppia di innamorati appartenenti agli strati più bassi della società, Bek e Zaya, mette in discussione i progetti di Set innescando il ritorno dall'esilio di Horus, le cose cambiano: riusciranno dunque un giovane ladro scettico rispetto alle divinità ed un dio sfiduciato ed accecato dalla vendetta - e non solo - a mettere fine al regno di Set?











Quando si approcciano alcune pellicole, si ha - o almeno, si spera di avere - la consapevolezza di andare incontro ad un disastro - con buona pace di Proyas e delle sue invettive online contro i detrattori - con la speranza che lo stesso si riveli quantomeno una divertente trashata e non una schifezza in grado di stimolare il desiderio di sollevare il televisore sopra la testa e scaraventarlo dal balcone sperando di centrare il regista in pieno cranio.
Nel caso di Gods of Egypt - ed esulti Proyas, in questo senso - fortunatamente mi sono ritrovato ad affrontare la prima delle due opzioni.
Per quanto, infatti, nel complesso il film si riveli una baracconata da due soldi che mescola in negativo Prince of Persia, Scontro tra titani, Troy, I Cavalieri dello Zodiaco e probabilmente qualcosa di più classico come Krull - che mi esaltava ai tempi delle medie e non ho più rivisto da allora -, risulti fin troppo lungo - quasi due ore per una proposta di questo tipo sono oggettivamente troppe - e ridicolo in termini di scrittura, Gods of Egypt ha finito per divertirmi quasi come se volesse con tutto il cuore guadagnarsi il posto da Sharknado del duemilasedici, stimolando battute a profusione a proposito di costumi, acconciature, parti del corpo perdute - a questo proposito, Nikolaj Coster Waldau sta diventando un vero e proprio esperto - e regalando quantomeno una gioia grazie alla parte di quasi protagonista femminile affidata alla giovane e dagli argomenti decisamente importanti Courtney Eaton, che già aveva fatto parte della schiera delle spose di Immortan Joe - chiamalo scemo - in Mad Max: Fury Road.
Senza dubbio chiunque sia dotato di buon gusto o di passione per il Cinema "alto" sarà portato al limite dal lavoro del regista de Il corvo e di Dark city, invecchiato decisamente male sotto quasi tutti i punti di vista, e non sarò certo io a consigliare di imbarcarvi senza ritegno in un'avventura da neuroni più che spenti neppure troppo fedele a quella che è la mitologia egizia - affascinante quanto quella greca -, eppure non riesco davvero a schierarmi apertamente contro una produzione trash e naif come questa, neanche fossimo tornati agli anni in cui con mio padre andavo al mitico - ed ormai purtroppo trasformato in un negozio - Cinema Astra in centro a Milano per godermi Stargate neanche fosse l'ultima frontiera della settima arte tra la folla del sabato pomeriggio quando ancora si poteva stare in piedi a fondo sala, vedere più spettacoli con lo stesso biglietto e schiaffarsi due porzioni di patatine da Burghy una volta usciti.
Per i temerari che, come noi Ford - anche se Julez, in fin dei conti, è stata molto meno contenta del sottoscritto -, decideranno di seguire da vicino l'impresa di Bek - che per sfidare la tirannia di Set ha deciso di abbandonare una "C" e la carriera di rockstar - e di Horus, consiglio soltanto di procurarvi un giusto quantitativo di alcool, patatine, voglia di spedire fuori in libera uscita i neuroni e garantire una sessione di rutto libero da Guinness World Record: in questo modo, le due ore o quasi di visione non solo finiranno per risultare addirittura utili in termini di distensione delle cellule cerebrali, ma un giocattolone innocuo per il quale non gridare allo scandalo o finire per risultare scandalosi nel difenderlo a spada tratta.
In fondo, "pensare come un dio", in questi casi, da una parte o dall'altra della barricata, non è mai davvero utile: meglio "succhiare tutto il midollo della vita" come l'ultimo degli uomini.





MrFord





"Beat my bones against the wall
staring down an empty hall
deep down in a hollow log
coming home like a letter bomb."
Beck - "Soul of a man" - 





domenica 27 marzo 2016

Spring

Regia: Justin Benson, Aaron Moorehead
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 109'








La trama (con parole mie): il giovane Evan, californiano, perde nel giro di pochissimo tempo entrambi i genitori, ai quali era legatissimo, ed il lavoro sfogando la tristezza covata dentro nei lunghi mesi passati accanto alla madre malata. Finito nei guai anche con la Legge, decide di allontanarsi dagli States e prendersi un periodo per capire che direzione dare alla propria vita: giunto in Italia, e visitata Roma, si aggrega ad altri due ragazzi percorrendo la costa tirrenica: rimasto solo in una piccola località e trovato un impiego come contadino in cambio di vitto e alloggio, Evan conosce Louise, misteriosa sua coetanea con la quale inizia una storia travolgente fatta di sesso e complicità ma anche di tutti i presupposti per un innamoramento.
La ragazza, però, nasconde un segreto oltre ogni immaginazione: riuscirà Evan a convivere con lo stesso, e la storia a proseguire nonostante questo fardello?









E' davvero curioso, sentirsi dall'altra parte.
Un pò come quando, da studente, invidi i tuoi genitori che lavorano, ed in men che non si dica ti ritrovi con un lavoro e pensi a quanto era bello, al contrario, passare la giornata tra scuola, amici e libri - risultati ed applicazione a parte -.
Oppure quando, da adolescente, immagini di avere non solo il mondo in mano, ma anche un'intelligenza ed una sensibilità che tutti quegli altri stronzi, vecchi o giovani che siano, non avranno mai e poi mai.
E' una sensazione che mi ha accompagnato praticamente per mano nel corso di tutta la visione di Spring, pellicola anomala ed affascinante che ha serpeggiato nella blogosfera nel corso degli ultimi mesi ammaliando grazie ad un setting a noi familiare, una fotografia splendida ed una regia che resta ottimamente in equilibrio tra lo sfoggio di tecnica del giovane e lo sguardo esperto del vecchio.
Del resto, sempre per restare legati alle tematiche che il film affronta, mi sono sempre sentito in bilico tra i due protagonisti: io sono da sempre un grande fautore dell'esperienza e della vita vissuta, e vorrei godermi ogni giorno il più a fondo possibile aggrappandomi alla possibilità che abbiamo con le unghie e con i denti per quanto più tempo sarò in grado di restare aggrappato, ma se qualcuno mi desse l'occasione di poter avere un'eternità per vagare, esplorare, imparare, viaggiare e chi più ne ha, più ne metta, metterei subito la firma.
Per usare paragoni da nerd appassionato di giochi di ruolo, potrei quasi pensare di essere un vampiro con un temperamento da lupo mannaro, o un lupo mannaro che sogna di essere un vampiro.
Ma non voglio divagare troppo scrivendo di quanto mi piacerebbe potermela spassare da queste parti fino alla fine dei tempi.
Vorrei scrivere a proposito di Spring, film dalle due anime, senza dubbio interessante, enormemente affascinante, in grado di comprendere l'una e l'altra parte della mia natura, eppure ancora e clamorosamente acerbo, figlio tanto della grande sensibilità dei suoi autori quanto degli eccessi e della voglia di stupire degli stessi.
Non sapevo cosa aspettarmi, dalla visione, ed ammetto che le bottigliate hanno finito per tentarmi con un bicchiere in più a più riprese, ma in questo senso devo dare merito ai registi di aver confezionato una piccola perla, per quanto grezza, che riesce ad affascinare come la sua protagonista tanto quanto a spingere ed insistere come il suo main charachter: certo, non tutto fila liscio come l'olio, a tratti la sceneggiatura è troppo facile e con il finale, secondo me, ci si gioca molto del coraggio mostrato soprattutto nella parte centrale dell'opera e sul lavoro - ottimo - operato sui cambiamenti fisici contro i quali lotta l'eterna fanciulla - indimenticabili, in questo senso, la sequenza nella cripta prima dell'ultima iniezione o lo scambio di battute, in italiano nell'originale, dei due turisti attoniti all'interno della chiesa -, ma può andare anche bene così.
Spring è un film di formazione, tanto per lo spettatore quanto per chi l'ha progettato, sognato, vissuto: ed è proprio con questo spirito che va affrontato.
Cercate di viverlo sulla pelle, sentirlo scorrere sotto di essa, osservarlo dall'alto, e da lontano, e poi immergervi come se foste in cima ad una scogliera nell'attimo appena prima di tuffarvi ed in quello appena dopo l'impatto con l'acqua.
In ogni viaggio ci sono giorni buoni, e giorni cattivi.
Come nella vita.
L'importante è non fermarsi, e mantenere la mente aperta come se avessimo tutto il tempo del mondo.
E come se ogni giorno fosse l'ultimo.





MrFord





"Love bites, love bleeds 
it's bringin' me to my knees 
love lives, love dies 
it's no surprise 
love begs, love pleads 
it's what I need."

Def Leppard - "Love bites" - 







sabato 26 marzo 2016

White Russian Six

La trama (con parole mie): oggi, ventisei marzo, il Saloon festeggia sei anni di vita. Sei anni di nuove esperienze, incontri, film, serie, letture per un'avventura che continua, nonostante gli impegni, il tempo e le passioni, a stimolarmi come - a volte meno, a volte più - il primo giorno.
Per l'occasione, ho deciso di inaugurare una nuova sezione del blog, dedicata alle più grandi personalità che hanno influenzato artisticamente il sottoscritto e, di fatto, arricchito la mia esistenza.



Rileggendo il post dello scorso anno dedicato al compleanno del Saloon, mi sono reso conto di una certa staticità che, a questo giro, vorrei evitare in modo da mescolare un pò le carte evitando il consueto pezzo a metà tra la malinconia e l'entusiasmo carico di emotività, limitando i ringraziamenti ad un giro di bevute veloce rispetto a tutti voi che ogni giorno tenete vivo questo postaccio ed il suo gestore prima di passare all'introduzione di una nuova sezione di White Russian che da tempo stavo meditando di inserire: la Hall of fame.
In fondo, nel corso della mia vita, ho avuto molti "Maestri" sul grande e piccolo schermo, tra le pagine dei libri o nelle canzoni, e rendere loro omaggio in maniera esplicita mi è sempre parsa una cosa non solo doverosa, ma anche confortante, oltre ad un modo di farli conoscere anche a chi, per un motivo o per un altro, non ha mai incrociato il loro cammino.
Dunque, da oggi, ad ogni compleanno del blog introdurrò dieci nuove personalità per me fondamentali nell'Arca della gloria del Saloon, dove potranno passare l'eternità brindando alla vita, alla morte o a quello che vorranno, e, chissà, se davvero esiste qualcosa dopo, magari preparare il terreno per questo vecchio cowboy quando, più o meno intorno al duemilaottantadue, comincerò a valutare l'idea di raggiungerli.


EMILIANO BANFI


Il primo ad entrare nel novero di questo gruppo così importante per me non poteva che essere il mio amico Emiliano, che ho visto crescere accanto a mio fratello e che è stato, per molti versi ed in molti momenti della mia vita - soprattutto il periodo "wild" tra il duemilasei e duemilasette, partito dalle serate alla Festa dell'Unità e dalle notti allo Zoe e culminato con il viaggio in Irlanda -, un fratello acquisito.
Per quanto, tra viaggi e famiglia, ormai non ci vedessimo che un paio di volte l'anno, non c'è stato giorno da quando se n'è andato in cui non abbia pensato a lui, che fosse per una canzone, un film o la voglia, semplicemente, di farci due risate insieme.

WARREN ZEVON


Non credo ci sia stato, quantomeno nella mia vita adulta, un cantante che abbia sentito vicino al sottoscritto come Warren Zevon: caotico, disequilibrato, devoto all'alcool, alla vita e alle donne - l'ispirazione dell'Hank Moody di Californication deve molto alla sua figura -, morto a pochi giorni di distanza da un altro mito del Saloon nel duemilatre eppure fino alla fine pronto ad aggredire la vita.
Il suo dialogo con il grande amico David Letterman nella sua ultima apparizione allo show del popolare anchorman rimane uno dei miei riferimenti rispetto all'idea di aggrapparsi con le unghie e con i denti a questa palla di fango: alla domanda del buon David rispetto a come stesse reagendo alla malattia che l'avrebbe portato alla morte, Warren sorrise e rispose "I enjoy every sandwich".
Un pò quello che faccio o cerco di fare io.

JOHNNY CASH


Se Clint è il mio nonno cinematografico e Cormac McCarthy quello letterario, indubbiamente quello musicale è Johnny Cash, scoperto ai tempi della sua "rinascita" sotto l'egida di Rick Rubin con gli splendidi American Recordings e visto esplodere quando, qualche anno dopo, la sua figura conobbe una seconda giovinezza grazie al film Walk the line.
Un personaggio pieno di contraddizioni, religioso e devoto quanto squilibrato ed anche lui sensibile al lato oscuro della dipendenza, espressivo e potente come la sua voce bassa ed il suo ritmo da treno in corsa.
Da Hurt a Man in black, una continua lezione.

DAVID BOWIE


Il Duca bianco è stato, indubbiamente, uno dei grandi amori musicali del sottoscritto, con un periodo - quello dei primi Anni Zero, che fu quasi maniacale, con il recupero di tutti i suoi dischi, l'occasione di vederlo live - due volte - e la continua esecuzione con la chitarra di Ziggy Stardust, ancora oggi uno dei miei pezzi forti. Il tutto, senza contare l'importanza anche cinematografica del buon David, da Labyrinth a The prestige.
Una scomparsa che ancora pesa.

STANLEY KUBRICK


Fin dai miei primi passi nel mondo del Cinema d'autore, Stanley Kubrick è stato un riferimento assoluto, e, ad oggi, forse il mio regista preferito di tutti i tempi: maniacale, dispotico, controverso, eppure autore di una serie di Capolavori assoluti uno dietro l'altro.
Dalla visione dell'edizione restaurata di Arancia meccanica in sala con mia madre all'amore per Barry Lyndon e 2001, non poteva mancare un riconoscimento a quello che è, indiscutibilmente, uno dei pilastri fondamentali della Storia del Cinema.

AKIRA KUROSAWA


Pochi registi, nel corso della mia carriera di spettatore, sono riusciti a conquistarmi sempre e comunque, che si trattasse di grandi Capolavori o titoli "minori": uno di essi - ed uno dei più importanti di sempre - è senza dubbio Akira Kurosawa, che da I sette samurai fino a Ran - forse una delle vette assolute della settima arte - è in gran parte responsabile del mio amore per il Cinema.
Un regista che, a prescindere dai generi e dallo stile, è sempre stato in grado di creare qualcosa di unico e potente.

FEDERICO FELLINI


Sono sempre stato un esterofilo, che si parli di Musica, Letteratura o Cinema, e la mia lotta contro il Cinema italiano - soprattutto recente - è nota a tutti gli avventori del Saloon: eppure, ho sempre pensato che Federico Fellini fosse da annoverare tra i dieci più grandi registi di sempre, in grado di stupire con la sempre e comunque, dalla malinconia e l'emozione di Amarcord alla visionarietà di quello che è il film italiano più grande di tutti i tempi, 8 e 1/2.

MARLON BRANDO


Non poteva mancare, accanto ai registi che ho più amato nel corso della mia vita, l'attore che, più di tutti, continua a conquistarmi con la sua aggressività e la potenza tutte animali.
A prescindere da interpretazioni cult come quella di Don Vito Corleone o del Colonnello Kurtz, ad ogni visione di Un tram che si chiama desiderio resto strabiliato dalla sua versione di Kowalski, e mi chiedo se esista uomo, donna o animale in grado di non scendere dalle scale nel momento in cui chiama "Stella!".

DALTON TRUMBO


Sceneggiatore, regista e scrittore, Dalton Trumbo è stato senza ombra di dubbio uno dei talenti più importanti che l'industria hollywoodiana abbia mai avuto per le mani, uomo tutto d'un pezzo pronto a lottare per le proprie idee finendo per affrontare il carcere, nonchè autore di uno dei romanzi cardine della mia vita, E Johnny prese il fucile, straordinario messaggio antimilitarista e pacifista, di quei titoli che dovrebbero essere letti nelle scuole e tramandati di padre in figlio per sempre.
Recentemente riconosciuto anche da un più che discreto film, non poteva assolutamente mancare l'appuntamento qui al Saloon.

FABRIZIO DE ANDRE'


L'ultimo posto di questa prima decina di nomi illustri destinati al firmamento del Saloon è dedicato ancora una volta alla Musica, con quello che per il sottoscritto rappresenta l'apice della produzione italiana di sempre: Fabrizio De Andrè. Imperfetto e caotico almeno quanto gli altri miei idoli oltreoceano, il vecchio Faber ha scritto alcune delle pagine più importanti della nostra cultura, e con dischi come La buona novella o Non al denaro, non all'amore ne al cielo ha segnato indelebilmente la mia esistenza, e continuerà a segnarla fino alla fine.
Mitico.




MrFord





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