sabato 31 gennaio 2015

Sabotage

Regia: David Ayer
Origine:
USA
Anno: 2014
Durata: 109'





La trama (con parole mie): Breacher, uomo tutto d'un pezzo, ex Navy Seal e guida di un team di spaccaculi della DEA, agenti abituati a dare tutto e anche di più, e vivere perennemente sul filo tra
sparatorie e missioni come infiltrati, persi la moglie ed il figlio, progetta un colpo che possa permettere alla sua squadra di prendersi quello che di norma non arriva mai ai loro livelli.
Nel corso di una missione che prevede l'eliminazione di un potente boss del narcotraffico, infatti, al tesoro di quest'ultimo vengono sottratti dieci milioni di dollari da spartire tra Breacher ed i suoi: peccato che, al momento del recupero della refurtiva, il denaro risulti sparito, rubato da qualcuno che ancora non ha volto.
Da quel momento per gli agenti cominciano i guai seri: dall'indagine che l'FBI apre su di loro ai conflitti interni, infatti, l'atmosfera si fa sempre più pesante.
E quando i membri della squadra cominciano ad essere uccisi apparentemente per mano di sicari inviati dai leader del Cartello ed entra in gioco una detective della omicidi, la situazione per Breacher pare farsi sempre più complicata.
Ma è davvero tutto come sembra, o le cose potranno addirittura complicarsi?






Era dallo scorso gennaio, quando per la prima volta vidi il trailer, che attendevo il nuovo lavoro di David Ayer – che la maggior parte conosce più per il buono e recente End of watch che non per i suoi
altrettanto interessanti lavori precedenti – quasi quanto il secondo capitolo di The Raid, pensando che sarebbe stato senza dubbio uno dei filmoni action e sguaiati più esaltanti della stagione, con uno Schwarzenegger tornato ormai a bomba su quella che era la sua specialità prima della carriera politica ed un cast di fordiani ad honorem – Josh Holloway e Joe Manganiello – ed interpreti che non ho
mai particolarmente amato ma che non riesco a farmi stare davvero antipatici – Sam Worthington e Terrence Howard -.
Il risultato è stato, seppur parzialmente deludente per quanto riguarda lo script, assolutamente in linea con quelle che erano le aspettative del Saloon: Sabotage è infatti un ruvido action dai risvolti crime legato ai concetti di superamento del dolore e fratellanza, abile mix tra un qualsiasi episodio di The Shield ed il soprendente Lone survivor.
Schwarzy, nonostante i settanta siano ormai alle porte, pare ancora un treno in corsa – come il suo amico e rivale Sly -, e regala al pubblico un personaggio spigoloso e controverso, paterno quanto spietato, in grado di mescolare le sue espressioni migliori – il sigaro acceso con compiacimento mi ha riportato alla mente l'epoca di Predator – ad un lato più drammatico che, seppur reso con la sua non proprio esaltante espressività, risulta funzionale rispetto al charachter.
Peccato che, di fatto, lo script – firmato anche da Ayer, come sempre accade per i suoi lavori, essendo lo stesso nato proprio come sceneggiatore di Training Day – non supporti al meglio un'ottima galleria di protagonisti – che, per quanto agenti, si mantengono decisamente in bilico sul labile confine tra Ordine e Caos -, un montaggio serratissimo e ben congegnato ed una tecnica sempre ottima: più che dedicarsi, infatti, ai dettagli in grado di definire in una singola scena l'esistenza intera di un charachter – quello che accade nei lavori di Michael Mann, per citare un Maestro del genere -, ci si preoccupa principalmente di arrivare a destinazione, tagliando un po' troppo con l'accetta e portando, di fatto, la prima parte ad apparire più come un cocktail tra un legal drama ed uno slasher e la seconda nel più classico film di genere con il protagonista ormai incazzato come un bufalo pronto a vendicarsi e distruggere tutto quello che si trova di fronte.
Uno spreco di potenzialità, dunque, per una pellicola che, andando oltre il sangue e le sparatorie, i morti ammazzati ed il crimine, racconta una vicenda di tradimenti, vendette, passioni e pugnalate alle spalle da fare invidia ad un drammone d'altri tempi: probabilmente la produzione, più concentrata sul lato action, ha preferito evitare che Sabotage assumesse le dimensioni – ed il minutaggio – di un'epopea in stile The Heat che non tutti gli spettatori – soprattutto quelli occasionali – avrebbero gradito, almeno ad un primo approccio.
Dunque, per quanto abbia concluso la visione in piena esaltazione agonistica che solo film di questo stampo riescono a stimolare nel sottoscritto, resta un vuoto dentro rispetto a quello che Sabotage
sarebbe potuto diventare se supportato adeguatamente in fase di scrittura: un po' come stendere un nemico dopo l'altro per scoprire di essere stato tradito dalla propria famiglia, o arrivare ad essere l'unico ancora in piedi, ma con il fato già scritto.
A quel punto non resta che sollevare il bicchiere, e fare un ultimo brindisi anche ad un destino beffardo.



MrFord



"I can't stand it, I know you planned it,
I'm gonna set it straight, this watergate.
I can't stand rockin' when I'm in here,
cause your crystal ball ain't so crystal clear.
so, while you sit back and wonder why,
I got this fuckin' thorn in my side.
oh my God, it's a mirage!
I'm tellin' y'all it's sabotage!"
Beastie Boys - "Sabotage" -




 

venerdì 30 gennaio 2015

The Guest


Regia: Adam Wingard
Origine: USA
Anno: 2014
Durata: 99'




La trama (con parole mie): i Peterson, che hanno perso il figlio maggiore Caleb, caduto sotto le armi, e sono rimasti legati con il loro traballante rapporto agli altri due eredi, Anna e Luke, vengono rintracciati da David, ex commilitone ed amico dello stesso Caleb che si presenta appena congedato alla loro porta perchè legato alla promessa di prendersi cura della famiglia fatta al compagno poco prima della fine.
Entusiasti di poter in qualche modo rivivere il rapporto con il primogenito, i Peterson si trovano a trattare David come se fosse un'incarnazione di quest'ultimo, senza accorgersi delle sfumature oscure che l'espressione del loro ospite pare trattenere a stento.
David, giorno dopo giorno, finisce per prendere sempre più sul serio la sua missione di protezione dei Peterson, colpendo in tutti i sensi chiunque minacci la loro tranquillità: quando Anna, turbata dagli strani atteggiamenti dell'ex soldato e dagli avvenimenti che cominciano a verificarsi attorno a lei, contatta la base che dovrebbe averlo congedato, la verità viene a galla, mettendo a rischio l'incolumità delle persone che l'inatteso ospite aveva giurato di proteggere.








Il cammino di Adam Wingard e del Saloon si è incrociato senza troppo entusiasmo qualche mese fa, all'uscita in sala di You're next, slasher di ispirazione decisamente retrò che, con tutti i suoi limiti, finì per intrattenermi molto più di quanto avessi previsto alla vigilia: ma neppure nei sogni più sfrenati avrei potuto immaginare che questo ancora semisconosciuto regista sarebbe riuscito a confezionare uno degli instant cult più divertenti, spassosi, vintage e ben realizzati della mia storia recente di spettatore, raccogliendo il testimone di bombette del calibro di Rubber, John dies at the end o Bellflower.
The Guest, giunto su questo bancone dopo essere stato acclamato da una parte e dall'altra della blogosfera, aveva il compito spesso ingrato di mantenere le promesse di aspettative piuttosto alte legate proprio alle recensioni positive, le stesse che, di norma, finiscono per affossare anche i titoli apparentemente più agguerriti: eppure, mescolando abilmente la rarefazione e le esplosioni di violenza di Drive - aiutandosi con un protagonista che pare un richiamo neppure troppo velato a Ryan Gosling - con la sguaiatezza, l'escalation di violenza ed eccessi ed una colonna sonora tipicamente eighties, tutto pare trovare il suo posto nella prima, grande sorpresa dell'anno, un titolo giunto a sorpresa come il suo protagonista che s'insinua nelle nostre vite di spettatori donando alle stesse prima il calore della familiarità, dunque il brivido dell'adrenalina e per chiudere in bellezza un vero e proprio circo - splendida la parte conclusiva ambientata all'interno dello scenario progettato per la festa di Halloween - di azione, tensione e morti ammazzati come se piovesse, in barba a qualsiasi promessa precedentemente fatta.
Il tutto senza contare un epilogo degno dell'originale ed indimenticabile The Hitcher, pellicola che, con ogni probabilità, Wingard conosce a menadito, una strizzata d'occhio alla critica riservata all'approccio a volte estremo delle istituzioni militari anche rispetto ai propri uomini ed un protagonista tanto distaccato quanto in grado di rendere le sfumature più inquietanti del charachter che porta sullo schermo.
In un certo senso, come è stato già giustamente sottolineato da Bradipo, uno degli aspetti più interessanti - ed inquietanti - di questo film è costituito dall'empatia che finisce per crearsi con David, dal suo rapporto con Luke alle manifestazioni estreme della volontà di garantire il meglio per tutti i membri della famiglia Peterson, quasi fosse una versione dopata e fuori controllo del loro stesso primogenito: eppure non è solo questo, il fascino di The Guest.
Esistono film in grado di mostrare il lato oscuro, o sedurre attraverso lo stesso, ed altri, al contrario, capaci di illuminare: il bello del lavoro di Wingard risiede proprio nell'abile mix di entrambi gli ingredienti, unire il fascino di un antieroe d'eccezione a quello di una cornice colorata e quasi giocosa, scandita da un ritmo ipnotico - e di nuovo torniamo alla soundtrack da urlo - e sfogata attraverso una violenza quasi grottesca, nella sua improvvisa espressione.
The Guest è una complessa storia costruita sui litigi e ad un tempo la più goduriosa delle scopate, i mezzi toni della quotidianità e le pennellate accecanti delle grandi cotte: è tutto e niente, un gioco senza pretese che riesce, più o meno volontariamente, a rubare la scena come fosse la più attesa, navigata ed annunciata delle proposte di successo.
Senza dubbio, come tutte le comete, rischia non soltanto di spegnersi alla lunga o a fronte di una reiterata visione - anche se potrei scommettere su una manciata di sequenze in grado di lasciare a bocca aperta anche tra una decina d'anni almeno -, ma di bruciare troppo in fretta, quasi avesse il tempo contato, e non potesse fermarsi nelle case di chi la ospita più di qualche giorno.
Ma anche questo è il gioco.
E, lasciatevelo dire, vale la candela.
Che duri un istante o una vita.



MrFord



"When I looked into your eyes
stranger
the thought to talk
they walk the talk
so lets just go from place to place
and as long as we don't talk from face to face."
Clan of Xymox - "Stranger" -




giovedì 29 gennaio 2015

Thursday's child

La trama (con parole mie): settimana dopo settimana, ci avviciniamo alla notte degli Oscar, ed uno dopo l'altro quelli che potrebbero essere i protagonisti della stessa cominciano a palesarsi nelle nostre sale. Ad oggi, quello che ho potuto vedere dei titoli più in vista della rassegna cinematografica più seguita dell'anno non mi hanno stupito granchè - Eastwood escluso -, e l'impressione, purtroppo, è che si prosegua su un tono certamente minore.
Un pò come quando si affronta questa rubrica: uno si potrebbe aspettare un sagace commento fordiano dietro l'altro, quand'ecco spuntare, come l'erba cattiva, Cannibal Kid.
Che poi, più che l'erba cattiva stessa, pare più che altro un infuso annacquato di quelli da correre in bagno: ma questo passa al Saloon, e questo ci dobbiamo tenere.


"Qui a Cannibalandia non si può ammettere di essere fordiani!"
Unbroken

"Impara a correre come si deve, Marco Goi!"
 Cannibal dice: Maccio Capatonda a parte, i protagonisti di questo weekend cinematografico sono loro, i Brangelina, la coppia più odiosa di Hollywood. Che io in realtà contro Brad Pitt una volta non avevo niente. Solo che da quando si è mezzo con la Scheletrina Jolie, non so se è un caso, il suo livello recitativo è crollato. In Fight Club e L'esercito delle 12 scimmie ad esempio se la cavava alla grande. Di recente, tralasciando robaccia come World War Z, persino quando ha lavorato con grandi registi come Tarantino o Iñárritu non è che lui personalmente abbia lasciato un grosso segno. La Jolie invece come attrice ha sempre fatto pena, quindi adesso c'è da chiedersi se come regista sarà ancora peggio, oppure se ha trovato la sua vera vocazione. La risposta arriverà nei prossimi giorni qui su Pensieri Cannibali. Riguardo invece a ciò che vi dirà WhiteRussian, quello potete fare come al solito e ignorarlo.
Ford dice: la Jolie non mi è mai stata particolarmente simpatica. Non è riuscita a convincermi neppure in Changeling, che malgrado la firma di Clint è uno dei film del buon Eastwood che ho meno apprezzato, tanto per intenderci. E negli anni non ha fatto che peggiorare.

Mi ero risparmiato il suo esordio dietro la macchina da presa, e penso che sfrutterò questo Unbroken solo per sfogare un po' di bottigliate.

Peccato che probabilmente questo film verrà massacrato anche dal Cannibale, altrimenti sarebbe stato perfetto.


Fury

"Figliolo, qui di pusillanimi in stile Peppa non ne vogliamo: siamo fordiani repubblicani."
Cannibal dice: Di questo film ve ne ho già parlato il Giorno della Memoria. A sorpresa mi è piaciuto. Dopo una prima ora molto bellica e molto fordiana, la pellicola cresce di ritmo e ne esce quasi una storia adolescenziale ambientata su un campo da guerra. Quindi una roba perfettamente cannibale. Boom.
Ford dice: ho messo gli occhi su questo film già da tempo, e non soltanto perchè Brad Pitt mi sta molto più simpatico della sua consorte, ed ho atteso con fiducia la sua uscita italiana per potermici confrontare.
Verrò ripagato di questo tempo? Oppure sarebbe stato meglio sparare su Fury settimane fa?
Presto scoprirete l'ardua sentenza!


Italiano medio

"Scrivi un'altra parola buona su di me, Cannibal Kid, e ti infilo questa penna dove non batte il sole!"
Cannibal dice: Dico solo che questo film è diretto da James Camera.
E già così per me è abbastanza da consegnare alla pellicola che segna l'esordio cinematografico di Maccio Capatonda tutti gli Oscar di questo mondo. Questa sì che è genialità pura, altroché Amariocan Sniper.
Ford dice: non ho mai seguito la carriera di Maccio Capatonda, e anche se comprendo, da quel poco che ho visto, l'adorazione dei suoi fan, non mi pare roba per me.
Comunque, dovesse capitarmi, uno sguardo lo darò. Non fosse altro che per la speranza di schierarmi di nuovo contro Peppa Kid.


Notte al museo 3 – Il segreto del faraone

"Questi vestiti andranno bene, Ben?" "Certo che sì! Rispetto a Ford, sembrerai all'ultima moda!"
Cannibal dice: Non ho mai visto i primi due, figuriamoci se vado a guardarmi il 3. A me Ben Stiller sta simpatico e i suoi film, nonostante qualche schifezza galattica confezionata qua e là, di solito sono un buon guilty pleasure. Della prima notte al museo mi sono però bastati pochi minuti per capire che era un'inguardabile bambinata che non fa ridere manco per sbaglio. Senza volerlo ho descritto la commedia fordiana ideale, o sbaglio?
Ford dice: non ho mai visto i primi due film di questa serie, e benchè Ben Stiller mi stia simpatico, non credo proprio comincerò dal terzo.
E sappiate che quasi mi sono terrorizzato da solo a scrivere qualcosa di quasi identico rispetto al mio rivale.


Turner

"Quella faccia da scemo di Peppa Kid starebbe proprio bene qui in fondo al canale!"
Cannibal dice: Turner... un nome che mi fa venire in mente la cantante Tina Turner, quella che una volta mi aveva dedicato una canzone, “Simply the Best”, non so se l'avete mai sentita. E poi mi viene in mente anche Turner e il casinaro, una roba che non ce l'ho mai fatta a guardare, visto che odio sia i film con Tom Hanks, sia i i film recitati da cani. Che poi è un po' la stessa cosa. Il Turner di cui si parla adesso in ogni caso è la nuova pellicola di Mike Leigh, regista che non so perché confondo sempre con Ken Loach, ma che in realtà apprezzo più di Ken Loach. Tra i suoi film ho visto Segreti e bugie, piaciuto, e La felicità porta fortuna, piaciuto molto, quindi potrei dare un'opportunità anche a questo, lasciando a Ford una visione a lui più consona, quella di Turner e il casinaro.
Ford dice: Mike Leigh, per quanto non il mio preferito in terra anglosassone, ha sempre confezionato cose decisamente interessanti. Turner, inoltre, è un pittore che ricordo con grande piacere dai tempi della scuola, e che sono curioso di conoscere in misura maggiore soprattutto a livello "umano".
Forse il film della settimana, e senza dubbio uno dei migliori di questo periodo di spenti Oscar e deliri cannibali.


Gemma Bovery

"Cara Gemma, noto che hai un paio di argomenti interessanti sui quali disquisire!"
Cannibal dice: In una settimana ricca di uscite di un certo rilievo, se non altro per i nomi coinvolti, ecco che c'è anche Gemma Arterton in Gemma Bovery. Chi meglio di lei, in un film con un titolo del genere?
Tra gnocca, produzione francese e radical-chicchismo a manetta, questa pellicola potrebbe essere una bella cannibalata. E Ford può già tirare fuori dalla cantina sociale le sue bottigliate delle grandi occasioni.
Ford dice: la scorsa settimana è stato il turno del panesalamismo sfrenato di John Wick, per la legge del contrappasso a questo giro passa una roba che, se non fosse per la Arterton, sarebbe solo un polpettone radical dal quale stare alla larga.
Nonostante tutto, credo ne resterò lontano ugualmente.




mercoledì 28 gennaio 2015

Big Eyes

Regia: Tim Burton
Origine: USA
Anno:
2014
Durata: 106'





La trama (con parole mie): siamo sul finire degli anni cinquanta quando Margaret, insieme alla figlia Jane, lascia una vita che le stava stretta per un futuro da costruire da zero a San Francisco. Qui conosce Walter, un uomo dalla parlantina svelta e dalle grandi abilità di venditore, come lei pittore, che si offre di sposarla e garantirle un futuro quando il suo ex minaccia di portarle via la bambina: dalla loro unione e dal sodalizio artistico che ne seguirà nascerà una delle truffe più colossali dell'arte contemporanea, giocata attorno allo scambio d'identità avvenuto tra marito e moglie a proposito della paternità dei quadri dedicati ai bambini dai grandi occhi, dipinti da Margaret ma spacciati come opere di Walter.
Superato un inizio difficile, giungeranno fama e denaro, ma quando il rapporto tra i due coniugi si incrinerà, avrà inizio una vera e propria battaglia giudiziaria atta a dimostrare chi davvero fu l'autore di alcuni dei quadri più famosi, riprodotti e venduti del mondo.








Una delle magie più spettacolari che l'Arte - ed il Cinema con essa - è in grado di regalare è quella dell'illusione, dell'evasione dalla realtà, della reinterpretazione di una vita che, spesso, a chi sta dall'altra parte sta stretta, o troppo larga, ed in quello che guarda cerca un'esistenza che non sia la sua, o quantomeno che sia quella che vorrebbe fosse.
Personalmente, amo molto questa parte dell'esperienza di spettatore, e mi piace, quando non cerco una realtà più vera nella quale specchiarmi, farmi ingannare dal "prestigio" - per dirla come Nolan - legato a quello che non c'è: in un certo senso, i film di Tim Burton sono un cocktail di entrambe le cose. Al buon, vecchio Tim è sempre piaciuto parlare di vicende estremamente quotidiane sfruttando spesso e volentieri cornici inusuali: proprio per questo, forse, uno dei motivi di discussione che maggiormente hanno riguardato questa sua ultima fatica - un biopic con licenze poetiche ispirato dalla vita di Margaret Keane e dal suo rapporto con il marito e complice Walter - è stato quello legato alla sua poca associabilità stilistica a quello che, di norma, si finisce per aspettarsi da un prodotto per l'appunto burtoniano.
Onestamente, trovo che la questione di quanto possa essere associato al suo padre artistico Big Eyes sia assolutamente superflua: il regista di Burbank, di fatto, racconta con perizia - soprattutto rispetto alla ricostruzione d'epoca ed alla fotografia - una vicenda che tocca temi a lui cari - il rapporto tra genitori e figli, le storie d'amore, l'evasione attraverso un'arte a suo modo dark - ispirandosi alla battaglia che vide opporsi Margaret e Walter Keane rispetto alla firma delle "loro" opere.
Il problema di Big Eyes, piuttosto, pare essere la sua assoluta mancanza di carattere: in un certo senso, per essere una pellicola completamente schierata dalla parte di Margaret, il lavoro di Burton appare più simile a Walter, con tutte le sue chiacchiere - insopportabilmente gigione Christoph Waltz, nel ruolo forse peggiore che io ricordi - e fumo negli occhi pronti a distogliere il pubblico dalla questione ben più grave legata alla carenza di ispirazione ed idee dell'uomo dietro la macchina da presa, che si affida ad una sceneggiatura tutto fuorchè impeccabile allontanandosi ancora una volta dai fasti del suo ultimo - e vero - Capolavoro, Big Fish: negli ultimi anni, infatti, il buon Tim si è barcamenato tra blockbuster sopravvalutati - La fabbrica di cioccolato -, sbiadite copie di se stesso - Sweeney Todd, Dark Shadows - ed abomini veri e propri - Alice in Wonderland - illudendo i suoi vecchi fan soltanto con Frankenweenie, del resto rielaborazione di un lavoro giovanile, senza più mostrare freschezza e soprattutto voglia di raccontare.
Di fatto, da narratore, pare essere passato ad essere un mero esecutore, e neppure così strabiliante come ad una certa parte della critica piace dipingerlo, soprattutto in virtù del suo appeal sul grande pubblico.
Più che, dunque, un nuovo capitolo della carriera di Tim Burton o un titolo che si discosta dal suo universalmente noto stile, Big Eyes mi pare rappresentare la già nutritissima - almeno quest'anno - categoria dei biopic da Oscar targati Hollywood senza nulla che possa davvero rimanere impresso nell'audience, che si parli di cuore o di testa.
In un certo senso, la visione di questo film potrebbe essere paragonabile all'acqua della pasta senza sale, o ad una di quelle visite ai musei organizzate ai tempi della scuola, quando di scoprire cosa ci sta attorno è importante solo in relazione al fatto che si potrebbe finire per saltare un giorno intero in classe: e questo sia che sulle pareti si trovino i quadri di Margaret Keane o di qualsiasi altro.
Se gli occhi sono lo specchio dell'anima, quelli di quest'opera e del suo regista appaiono ormai vuoti e privi di qualsiasi scintilla di luce.
E poco importa, a quel punto, quanto saranno grandi.




MrFord




"I saw you creeping around the garden
what are you hiding?
I beg your pardon don't tell me "nothing"
I used to think that I could trust you
I was your woman
you were my knight and shining companion
to my surprise my loves demise was his own greed and lullaby."
Lana Del Rey - "Big eyes" - 




martedì 27 gennaio 2015

La teoria del tutto

Regia: James Marsh
Origine: UK
Anno:
2014
Durata:
123'





La trama (con parole mie): Stephen Hawking, promessa assoluta della fisica, conosce ai tempi dell'università la sua futura moglie Jane, diversamente da lui votata alle materie umanistiche ed alla Fede. Il loro rapporto sarà l'ancora alla quale l'uomo si appoggerà per fronteggiare la malattia degenerativa che gli viene diagnosticata all'inizio degli anni sessanta e che lo accompagnerà per tutto il resto della vita, sconfiggendo le probabilità che lo davano morto entro due anni divenendo marito, padre, volto simbolo della scienza, autore di best sellers nonchè "nuovo Einstein".
Il rapporto con la stessa Jane, non privo di ombre, ha di fatto contribuito a formare la coppia in quanto tale ed i suoi appartenenti come individui, che si parli di conquiste in termini di studi o umane: in fondo, il miracolo della creazione e le sue conseguenze, finiscono per essere alla portata della più grande mente immaginabile così come per il più semplice degli uomini.







Come ormai più volte mi è capitato di raccontare tra una recensione e l'altra, ormai parecchi anni or sono - quattordici, per l'esattezza - ho prestato i miei dieci mesi di servizio civile lavorando in ambito universitario assistendo per tutto quello che riguardava questioni logistiche - colloqui con i professori, esami, pranzi, seminari e spostamenti nell'area delle vicinanze dell'Università stessa - studenti con disabilità fisiche: per molti versi, e per quanto ora come ora, se mi ritrovassi a scegliere, penso non disdegnerei - con tutti  i limiti del caso - l'esperienza del militare, quei dieci mesi hanno significato non soltanto uno dei periodi più importanti della mia crescita, ma anche l'esperienza lavorativa più gratificante che abbia mai provato.
Non lo dico per compiacenza o pietismo, sia chiaro: in quel periodo ho conosciuto ragazzi con due palle grandi come interi sistemi planetari - Antonio "Panzer" e Gloria, che spero siano più che felici e tosti come allora ancora oggi -, altri che si crogiolavano nella condizione in cui erano ed altri ancora che, in tutto e per tutto, erano dei veri stronzi pronti a farti sentire in colpa come se fossi la causa delle loro sfortune.
Nessuno di loro, probabilmente, era un genio del calibro di Stephen Hawking, così come probabilmente non lo è nessuno di noi che frequentiamo la blogosfera.
Eppure, le reazioni e la gestione delle emozioni, i pregi ed i difetti erano lì, dove sarebbero stati comunque anche in situazioni diverse, e dove probabilmente sempre saranno.
In questo, La teoria del tutto - seppur, forse, con intenti di partenza diversi - riesce abbastanza bene a mostrare quanta normalissima e splendida umanità si trova anche in condizioni apparentemente straordinarie - ed alludo sia alla condizione di disabilità di Hawking, sia a quella di genio assoluto -, e trova la sua massima espressione nella strepitosa sequenza del momento della rottura definitiva tra il già citato Stephen e la sua compagna di una vita, con il cursore che viaggia velocissimo da una risposta preimpostata all'altra sul computer che da voce al fisico senza fermarsi su nessuna di esse, quasi non avesse davvero parole per decretare la fine di un rapporto.
Peccato che, esclusi il suddetto passaggio, l'interpretazione obiettivamente ottima di Eddie Redmayne - lanciatissimo verso l'Oscar - ed un comparto tecnico notevole, il resto non sia altro che l'ennesima, zuccherosa, prolissa ed a tratti noiosa pellicola hollywoodiana in odore di Oscar.
Peccato davvero, perchè James Marsh, l'uomo dietro la macchina da presa, neppure troppo tempo fa aveva finito per lasciarmi a bocca aperta grazie allo splendido documentario Man on wire - ispirato dalla vicenda che nei prossimi mesi diverrà un film diretto da Robert Zemeckis -, lasciava intendere - e sperare - in qualcosa di decisamente più valido ed intenso di questo.
Peccato, perchè più che la trita e ritrita questione della storia d'amore, avrei preferito conoscere più da vicino, ad esempio, il ruolo di Hawking come padre, o le sue rivoluzionarie teorie scientifiche: io posso capire che - come è facilmente intuibile dal finale, peraltro efficace - il miracolo dell'esistenza, l'unico in grado di unire Scienza e Fede, probabilmente risiede nel momento in cui siamo seduti ed osserviamo i nostri figli crescere, individui che noi abbiamo creato, ed in qualche modo plasmato, fino ad accompagnarli nel mondo, ma da un titolo come questo, che vorrebbe essere qualcosa di più del consueto compitino svolto ad arte per l'Academy, mi sarei aspettato senza dubbio un lampo di genio più clamoroso di qualche lacrima facile o dell'amore che vince, sempre e comunque.
Troppo semplice, fare la pace con l'Universo in questo modo.
Troppo comodo.
Probabilmente, se Hawking avesse girato questo film, non avrebbe preso una via come questa.
Del resto, uno come lui deve saperlo bene quale sia quella, al contrario di questa, tutta in salita.
E non occorre essere dei geni, purtroppo, per capire quale delle due abbia scelto di imboccare Marsh.




MrFord




"You see everything, you see every part
you see all my light and you love my dark
you dig everything of which I'm ashamed
there's not anything to which you can't relate
and you're still here."
Alanis Morissette - "Everything" - 




lunedì 26 gennaio 2015

John Wick

Regia: Chad Stahelski
Origine:
USA, Canada, Cina
Anno: 2014
Durata: 101'




La trama (con parole mie): John Wick è un ex sicario, forse il più letale che si possa immaginare e sperare di non trovare mai dall'altra parte della propria barricata.
Ma i tempi in cui il terrificante "Baba Yaga" era in servizio attivo sono ormai lontani, e lo stesso John si dedica con tutto l'amore possibile a sua moglie ed alla sua macchina: quando la malattia finisce per portargli via la prima, e la donna prepara il terreno al superamento del dolore facendogli recapitare un cucciolo, un gruppo di piccoli malviventi - tra i quali il figlio di un boss che Wick conosce molto bene - rompono l'equilibrio facendo irruzione nella sua casa e compiendo un atto del quale non immaginano neppure le conseguenze.
Spinto dal desiderio di vendetta, John riprenderà in mano le armi in modo da ricordare a chi l'ha provocato che non si deve, mai e poi mai, svegliare il can che dorme.
Specialmente se si chiama John Wick.








In un mondo perfetto, avrei bisogno quantomeno un giorno sì ed uno no di titoli come John Wick.
Il fatto che io sia cresciuto a pane ed action movies e che, dopo anni di radicalchicchismo cinematografico abbia riscoperto e di nuovo nutrito quel lato della mia natura di spettatore è ormai noto a chiunque sia capitato da queste parti, che, dunque, non resterà certo stupito di fronte all'esaltazione espressa senza se e senza ma rispetto a titoli come questo.
Certo, parliamo di opere assolutamente senza pretese, tagliate con l'accetta ed assolutamente implausibili, eppure guidate - come nel caso del lavoro di Chad Stahelski - da una passione ed una dose di pane e salame a dir poco inaudite, di quelle che, nel passato recente, ha saputo regalare soltanto il vecchio Denzellone grazie a titoli come Cani sciolti o The equalizer.
John Wick, fumettone sopra le righe dal primo all'ultimo minuto nonchè prodotto che, fosse uscito nell'ottantasei, non avrebbe sfigurato accanto ai suoi colleghi del tempo, sancisce il ritorno alle atmosfere di Speed per un Keanu Reeves in spolvero totale nonostante i cinquanta già suonati, nonchè la garanzia di divertimento assicurato per chiunque abbia voglia di un'ora e mezza abbondante di sparatorie, botte da orbi, un antieroe solitario e vincente pronto a sbaragliare un'infinità di nemici già dalla prima - beh, facciamo la seconda - inquadratura assolutamente non alla sua altezza ed un pò di sfogo per il cervello alla fine di una giornata - o di una settimana - lavorativa particolarmente stressanti.
Senza dubbio i fighettini in stile Cannibal e tutti i puristi - almeno dichiarati - della settima arte dalla puzza sotto il naso si divertiranno a stroncare e snobbare questo titolo come fosse il peggiore dei mali, ma sinceramente poco mi importa: io adoro divertirmi, e so bene che prodotti di questo genere hanno il potere di regalarmi proprio il tipo di svago selvaggio, disimpegnato ed implausibile, fracassone e ovvio nella sua evoluzione già dal primo minuto, a prescindere dagli escamotage - o presunti tali - di sceneggiatura.
Del resto tutti noi sappiamo che, nonostante l'impegno, nessuno dei criminali di turno riuscirà neppure lontanamente a mettere in crisi il protagonista, ed allo stesso modo finiamo per restare in attesa soltanto del compimento della vendetta che si presagisce fin dall'incontro con il gruppetto di scellerati ed incauti bulli di mezza tacca al distributore di benzina.
Ed il bello è proprio questo.
Film - e charachters - come John Wick sono la gioia dell'action e dei suoi fan, uno spettacolo per gli occhi, l'adrenalina e l'esaltazione da neuroni staccati che a volte sono necessarie come l'aria per poter dare respiro ad una vita fin troppo reale ed incasinata: forse cose come l'hotel esclusivo per sicari all'interno del quale vige una non belligeranza degna di Highlander sono un pò eccessive, eppure il divertimento è assicurato, il tifo spudorato per il protagonista certo, il finale open mitico.
Poco importa, poi, che Willem Defoe e John Leguizamo facciano sostanzialmente da tappezzeria, che Michael Nyqvist ed Alfie Allen propongano il loro solito personaggio, che Adrianne Palicki appaia fin troppo poco con un look dark che aumenta il fascino che aveva fin dai tempi di Friday night lights: alla fine dei conti, sarà come salire su quel bus dei primi anni novanta, pensando ancora di essere nel pieno degli ottanta.
E al sottoscritto va benissimo così.




MrFord




"Think of me, I'll never break your heart.
Think of me, you're always in the dark.
I hate your love, your love, your love.
Think of me, you're never in the dark."
Kaleida - "Think" -




domenica 25 gennaio 2015

Mean girls

Regia: Mark Waters
Origine: USA, Canada
Anno: 2004
Durata:
97'




La trama (con parole mie): Cady è una teenager appena rientrata negli States dopo una vita trascorsa in Africa al seguito dei suoi genitori studiosi, da sempre istruita in casa e completamente a digiuno dall'esperienza terrificante e formativa dell'istituzione scolastica.
Il suo arrivo nella nuova scuola la porterà a confrontarsi con le diversità ed i gruppi che all'interno della "catena alimentare" contano più o meno: quando, spinta dalla ribelle Janis, Cady si infiltrerà nel ristrettissimo circolo delle Barbie capitanato dalla spietata Regina George, il mondo della ragazza cambierà radicalmente.
E tra una cotta ed una trasformazione in quello che al principio pareva odiare, la strada verso se stessa ed un ritrovato equilibrio risulterà essere decisamente in salita: riuscirà Cady a tornare Cady, o dovrà rassegnarsi ad un destino da "queen bee"?
E come reagiranno i suoi genitori e gli amici veri che nel frattempo si sarà fatta?







Quasi non ci credo, di essere qui a scrivere la recensione di un film come Mean girls.
In effetti, se non fosse stato per il Cannibale e la Blog War Teen VS Action che abbiamo orchestrato, titoli come questo sarebbero rimasti felicemente nel dimenticatoio del Saloon senza troppi problemi, snobbati non tanto per presa di posizione quanto per incompatibilità, un pò come quando capita di uscire con qualcuno che fin da subito capite non potrà darvi nulla, e cominciate a pensare ad una qualsiasi scusa per tornare a casa prima.
Per la verità, devo ammettere che da questa robetta enormemente sopravvalutata dagli amanti del genere mi sarei aspettato perfino di peggio, se non fosse che, in alcuni passaggi, qualche risata è riuscita a strapparla perfino ad un non avvezzo come il sottoscritto, forse ancora memore di quella che è la bestialità - azzeccati i riferimenti della protagonista al suo passato in Africa a contatto con la Natura - del mondo selvaggio del liceo, con i suoi gruppi, le caste ed i piccoli e grandi drammi di un'età in cui si è, fondamentalmente, più scemi di quanto non si sarà mai nel resto della vita.
Il cast è quello delle grandi occasioni - almeno per la fetta di pubblico cui è indirizzato e rispetto a dieci anni fa esatti -, con la Lohan prima del tracollo fisico e di condotta, Amanda Seyfried ed una Rachel McAdams nel ruolo della stronza fatta e finita decisamente diverso rispetto a quelli che avrebbe avuto in seguito almeno nella maggior parte dei charachters interpretati: per il resto, si assiste alla consueta parabola di caduta e risalita della brava ragazza divenuta quello che più detestava e pronta a tornare a galla e riconquistare tutti a seguito di una svolta più drammatica come spesso se ne sono viste non soltanto nei teen movies ma anche nel periodo d'oro degli stessi, quegli anni ottanta che, paradossalmente, sono stati la vera e propria miniera d'oro per i due generi di riferimento del sottoscritto e del già citato Cannibal Kid.
Certo, resto stupito all'idea che un ultratrentenne - soprattutto di sesso maschile -possa in qualche modo apprezzare una visione di questo genere, che non viene neppure impreziosita da una qualche performance al limite del soft porno delle protagoniste, e che risulta essere una sorta di raccolta di luoghi comuni abilmente mescolati e ripresentati dalla sceneggiatura di Tina Fey - che si ritaglia il ruolo dell'insegnante di matematica - come se fossero una cosa cool e alla moda in quello che, qualche anno dopo, sarebbe stato lo stile di Diablo Cody.
Un filmetto per ragazzine, dunque, in buona sostanza, forse meno agghiacciante di quanto avessi previsto ma comunque ben lontano da qualsiasi pensiero possa essere associato al Cinema, e che vede perfino lo "spietato" inserviente di Scrubs finire rinchiuso in un ruolo da padre zuccheroso: se non fosse che la distribuzione è targata Paramount e che in almeno un paio di occasioni si registrano battute e situazioni abbastanza sopra le righe, penserei quasi di trovarmi di fronte ad un prodotto di Mamma Disney, non per nulla dimensione d'origine di dive poi divenute ribelli come la Lohan o Miley Cyrus.
Niente di particolarmente "mean", dunque, quanto l'ennesima dimostrazione dei colpi bassi che si finiscono per dare e ricevere nella scuola di vita più spietata e simile alla giungla che esista: le superiori.
E come le superiori stesse, una cosa che, vista con occhi da adulto, viene senza troppi problemi ridimensionata.
Un pò come questa pellicolina.



MrFord



"Heavy hitter, rhyme spitter, call me Re-Run
hey hey hey, I'm what's happ'nin
hypnotic in my drink (that's right!)
shake ya ass till it stink (that's right!)
Mr. Mos' on the beat (that's right!)
put it down for the streets (that's right!)"
Missy Elliot - "Pass that dutch" - 



sabato 24 gennaio 2015

Justified - Stagione 3

Produzione: FX
Origine: USA
Anno: 2012
Episodi:
13




La trama (con parole mie): Raylan Givens, impegnato con la sua consueta attività di US Marshall vecchio stile, è alle prese con più problemi di quanti potrebbe pensare di gestire contemporaneamente.
Mentre l'ex moglie è incinta del suo primo figlio e l'amico d'infanzia e criminale incallito Boyd Crowder pianifica un'attività che possa renderlo il boss della regione accanto alla vecchia fiamma dello sceriffo stesso Ava, infatti, da Detroit giunge un cane sciolto delle organizzazioni del Nord pronto a creare scompiglio e lasciare dietro di sè una lunga scia di cadaveri, mentre Arlo, padre di Raylan, comincia a dare segni di squilibrio, oltre a manifestare apertamente l'odio per il figlio ed il legame con Boyd.
Dietro le quinte delle vicende che si incrociano e delle lotte per la conquista del potere nella Contea di Harlan, invece, assume una forma sempre più definita la figura della vera anima nera del luogo, il "custode" Ellstin Limehouse.








Come gli ultimi Ford Awards dedicati alle serie tv hanno chiaramente testimoniato, uno dei titoli che, nel corso dell'anno appena concluso, ha più fatto breccia nel cuore del vecchio Ford è stato indubbiamente Justified, un western fuori dal suo tempo ispirato da un racconto del pioniere del genere Elmore Leonard pronto a regalare due antagonisti degni delle battaglie che vedono protagonisti il sottoscritto e Cannibal Kid: Raylan Givens e Boyd Crowder, amici d'infanzia cresciuti nello stesso contesto - la Contea di Harlan, in Kentucky, dove le possibilità di crescita per un giovane, escluse le fortune sportive, sono molto limitate: un distintivo, il carcere o una vita a spaccarsi la schiena con qualche lavoro duro -, rivali quasi "per contratto" ed ugualmente in grado di portare avanti un rapporto che sconfina in un legame quasi più forte di quello di sangue.
Con la sua terza stagione, la serie compie un ulteriore passo verso la maturità, aggiungendo elementi che saranno fondamentali per la crescita dei suoi protagonisti - la futura paternità di Raylan, il rapporto di Boyd con Ava e Arlo - ed un paio di personaggi che difficilmente gli amanti di questo genere di proposte riusciranno a dimenticare: il killer e psicopatico albino Quarles, forse uno dei più folli e disturbati villains passati sul piccolo schermo di casa Ford dai tempi di Breaking bad e l'eminenza grigia Limehouse, cresciuto ed inserito in un contesto profondamente redneck e campagnolo eppure in grado di trasmettere l'inquietudine e l'aura di potere di un boss da grande metropoli.
I tredici episodi di questa terza season, meno coesi, forse, rispetto a quelli della seconda - incentrata quasi interamente sulla lotta di Raylan e Boyd contro la famiglia Bennet, in grado di trascinare una coda anche a questo giro di giostra -, riescono comunque nella non facile impresa di unire la tensione del thriller all'azione cui Raylan ha ormai abituato il suo pubblico, il rapporto dello stesso con la Legge ed il lato meno in ombra della sua esistenza - i colleghi, il capo, l'ex moglie incinta - e quello, al contrario, del lato oscuro - la volontà di fare spesso e volentieri quello che decide e sente a prescindere dalle regole, il grilletto facile ed una capacità di cacciarsi nei guai ben oltre il livello di guardia -: se, inoltre, le premesse sono quelle che sembrano, pare che il buon Limehouse sia destinato a diventare un personaggio cardine di questo prodotto che pare costruito su misura per chi, come il sottoscritto, ama un certo tipo di atmosfere, da Lansdale ad una sorta di Stand by me per adulti, con tanto di sesso e violenza aggiunti ad un cocktail troppo forte per stomaci da pusillanimi.
Ed è davvero interessante scoprire quanto un'opera che, di fatto, appare tagliata con l'accetta come i suoi protagonisti - gente dura, abituata a crescere battendosi, e senza fare troppe domande sul perchè, come è evidente nei confronti tra Quarles e Boyd, Raylan o Limehouse - basi la sua profondità sulle sfumature, e sul fatto che, nella vita, per quanto possano esistere il bianco ed il nero, finiamo per batterci con il coltello tra i denti nuotando tra i flutti dei grigi, e non ci sono uomini di Legge completamente a norma della stessa, così come criminali privi di qualsiasi moralità - Quarles a parte, ma questo è un discorso che sconfina nell'ambito della psicopatia -.
Il bello di Justified è proprio questo: il carattere, la voglia di lottare.
A prescindere da quale lato della barricata ci si sia trovati, per colpa o per destino, a difendere.
Lo sanno bene Arlo e Raylan, padre e figlio che tutto vorrebbero essere tranne padre e figlio.
Uno con un nuovo protetto per il quale pare disposto a fare tutto quello che non ha fatto per il suo sangue, per "l'uomo con il cappello".
E l'altro con un piccolo Givens in arrivo, e la sensazione che, pur senza essere presente, potrà sempre esserci.
Specie se si tratterà di dover piantare qualche pallottola in corpo a chi vorrebbe minacciarne il futuro.



MrFord



"Nice guys finish last.
You're running out of gas.
Your sympathy will get you left behind.
Sometimes you're at your best, when you feel the worst.
Do you feel washed up, like piss going down the drain."
Greenday - "Nice guys finish last" -



venerdì 23 gennaio 2015

We are the best!

Regia: Lukas Moodysson
Origine: Svezia
Anno: 2013
Durata:
102'
 




La trama (con parole mie): Bobo e Klara sono due amiche per la pelle, inseparabili in quanto entrambe a loro modo outsiders nella geografia scolastica. Quando decidono di mettere in piedi una band, trovano in Hedvig la terza ideale compagna nella loro nuova lotta da musiciste punk: la ragazza, infatti, bravissima - al contrario loro - con la chitarra, è ugualmente emarginata perchè legata ad una cultura di famiglia profondamente religiosa e ad uno studio dello strumento fin troppo classico per un'adolescente.
Le tre ragazzine, a questo punto, si troveranno a porre le basi non solo per la band ed i primi pezzi da comporre, ma anche e soprattutto per i loro caratteri ancora in via di formazione tra scuola, musica, rapporti con i genitori e prime storie d'amore: quello che farà la differenza davvero, però, sarà la prima frattura tra loro e, in parallelo, il tanto atteso live.






I film di formazione, specie se ad argomento musicale e legato a quelli che sono, di fatto, outsiders dell'adolescenza - e che, di norma, finiscono per diventare le persone sulle quali puntare, almeno quando si tratta di coolness, negli anni a venire -, sfondano e sfonderanno sempre una porta aperta, qui al Saloon: per prima cosa perchè, come gli avventori storici ormai ben testimoniano, il sottoscritto in prima persona è stato parte della categoria ai tempi della sua prima giovinezza, e dunque perchè, da grande sostenitore ed amante dell'esperienza, trovo che il fatto di rimboccarsi le maniche e farsi un pò di culo tenda a formare meglio rispetto all'avere sempre e comunque la pappa pronta.
La scorsa estate, a seguito della scellerata idea di progettare una Blog War con il mio antagonista Cannibal Kid che vedesse l'uno costretto a sciropparsi dieci titoli del genere favorito dell'altro, ebbi modo di incrociare il cammino di un cult teen sul quale non ero ancora riuscito a mettere gli occhi, Fucking Amal, che tra i titoli scelti dal Cucciolo Eroico finì per essere uno dei meno agghiaccianti, e che, come sottolineai nel post dedicato alla pellicola stessa, probabilmente se l'avessi visto in tempi non sospetti avrebbe finito per rimanermi nel cuore più di quanto non abbia fatto al momento della visione.
We are the best!, che con esso condivide non soltanto il regista, ma anche la traccia che pare seguire fin dalle prime sequenze e nello stile, si inserisce nello stesso filone e giunge, di fatto e molto piacevolmente per il pubblico, agli stessi risultati, scegliendo di raccontare una vicenda piccola piccola e senza particolari sconvolgimenti che, ugualmente, cattura proprio per la sua semplicità, e per l'onestà del racconto legato alla crescita di tre giovanissime ed improvvisate musiciste alle prese con i primi dolori della crescita.
Bobo, Klara ed Hedvig, infatti, con le loro diversità ed i contrasti pronti a venire a galla - splendido il lavoro sulla prima, introversa eppure pronta forse più delle altre a mordere la realtà ed il mondo esterno, ed allo stesso tempo quasi meschina nel nascondere sempre e comunque quelli che sono i suoi reali sentimenti - diventano fin dai primi minuti simboli di turbamenti, momenti di leggerezza quasi primaverile - nonostante il dichiarato clima invernale e l'atmosfera natalizia dell'opera - e piccoli drammi apparentemente insormontabili tipici degli anni che vanno dalle scuole medie alla fine delle superiori, e che finiscono per coinvolgere, in misura più o meno massiccia, tutti noi.
Per la verità il lavoro di Moodysson non racconta nulla di nuovo, considerato anche il percorso dello stesso regista, eppure il piglio che sfrutta per affrontare uno scampolo di queste tre piccole ed a loro modo eroiche esistenze è talmente onesto e sincero da risultare quasi disarmante in senso positivo: una prova di questa sensazione l'ho avuta quando, nel corso della visione, che ha accompagnato una delle numerose sessioni di gioco con il Fordino, ho visto quest'ultimo catturato in almeno un paio di occasioni dalle performances delle ribattezzate "bimbe" e dall'atmosfera decisamente casalinga delle riprese.
La voce dell'innocenza, si potrebbe pensare.
O forse, chissà, il più piccolo del Saloon potrebbe avere già un'anima punk.
Previsioni del futuro del mio erede a parte, questo film andrebbe visto se non altro per la sensazione di benessere che procura senza pensare troppo a grandi storie o lieti fini: è una parte - decisamente piccola, se confrontata al percorso di un'esistenza intera - del cammino di tre ragazzine pronte a dare inizio alla ricerca delle proprie identità, ed a sfruttare l'esperienza del punk per comprendere per prima cosa loro stesse - emblematico, e raccontato alla grande, il passaggio dell'appuntamento con i ragazzi della band scoperta su una rivista locale -.
Un titolo pane e salame dall'inizio alla fine, che seppur non perfetto, o grande, o qualunque termine altisonante vogliate utilizzare, è semplicemente, come le sue protagoniste, "il meglio".
E poco importa se voleranno fischi o oggetti durante l'esibizione.
L'importante sarà stato, come nei migliori concerti, esserci.
Sempre.



MrFord



"They're forming in a straight line
they're going through a tight wind
the kids are losing their minds
the Blitzkrieg Bop."
Ramones - "Blitzkrieg Bop" -





giovedì 22 gennaio 2015

Thursday's child

La trama (con parole mie): la corsa di avvicinamento alla Notte degli Oscar prosegue, così come la continua sfida, tra le pagine di questa rubrica e quelle dei rispettivi blog, del sottoscritto e della sua nemesi Cannibal Kid, neanche si parlasse di Cinema action e teen, d'autore e indie, di American Sniper o The imitation game.
Del resto, a volte e rispetto a certe uscite - spesso, purtroppo, italiane - si tratta di confronti più interessanti di molti film in sala.

"Non hai davvero idea di che cosa terribile sia, leggere Pensieri cannibali tutti i giorni!"
Still Alice

"Un giorno ho accettato un invito ad uscire da un certo Marco Goi, e ora non ricordo più nulla!"

Cannibal dice: Non sono un grande fan di Julianne Moore, ma sono curioso di verificare se in questa pellicola ha davvero tirato fuori un'interpretazione da Oscar come dicono. Sul fatto che possa essere più potente di quella di Rosamund Pike ne L'amore bugiardo resto comunque mooolto dubbioso. Rimanendo in tema di Oscar, sul fatto che Bradley Cooper sia stato preferito a Jake Gyllenhaal non ho invece alcun dubbio: quella è stata davvero una porcata degna giusto di Ford.
Ford dice: di questo film si fa un gran parlare principalmente per l'interpretazione a quanto pare straordinaria di Julianne Moore, che pare essere simile a quella che mette in scena Peppa Kid quando si tratta di demolire un film che non è in linea con i suoi gusti da pre-adolescente.
Sono curioso, anche perchè fino ad ora non ho trovato alcuna rivale rispetto a Rosamund Pike per quanto riguarda la corsa all'Oscar.


John Wick

"Cannibal, dobbiamo trovare un altro modo di scrivere la rubrica, questo è troppo compromettente!"
Cannibal dice: Action che sembra servito su un piatto d'argento per Ford e la sua esaltazione personale. Anche se forse il 50enne Keanu Reeves è un action-hero troppo giovane per i suoi gusti sul necrofilo andante, muahahah!
L'ex Neo di Matrix non azzecca più un film da... boh, dai tempi in cui anche Johnny Depp girava delle pellicole decenti, credo. Qui pare che il buon Keanu sia in gran spolvero, ma l'unica cosa che sono pronto a spolverare io è la mia penna per le stroncature.
Ford dice: esaltante ritorno dell'action anni ottanta che segue la scia dell'altrettanto esaltante The Equalizer. Ovviamente l'ho già visto, ed ovviamente sarò pronto a darne una divertita interpretazione a brevissimo.
Si astengano musi lunghi e radical liberal pussilanimal come il mio antagonista.



Il nome del figlio

"Quei due fetenti di Ford e Cannibal ce l'hanno ancora con me. Che avrò mai fatto!?"
Cannibal dice: Remake italiano del francese Cena tra amici. Quasi quasi lo guardo...
Quello francese, ça va sans dire.
Ford dice: italiano? Remake?
Ma neanche se lo stronca Cannibal Kid!



Sei mai stata sulla Luna?

 
Ford e Katniss Kid in gita in campagna.
Cannibal dice: Ma Raoul Bova quante commediole gira in un anno? Ci credo che c'è disoccupazione. In Italia lavora solo lui.
Un'altra cosa che mi chiedo poi è: ma quell'alieno di Ford è mai stato sulla Terra?
Ford dice: sulla Luna spedirei giusto Cannibale. Grazie ad un homerun di bottigliate. In compagnia di Raoul Bova, giusto per fargli ancora più male.



 Mateo

"E' inutile che cerchi di fumare per sembrare più grande, Cucciolo: non potrai mai essere vecchio quanto Ford!"
Cannibal dice: Film colombiano presentato al Giffoni. Non ho niente contro il Giffoni, ma io da buon radical-chic preferisco i film presentati al Sundance.
Ford dice: ho davvero un sacco di cose da recuperare, prima di pensare di dover recuperare qualcosa dal Giffoni. Anche se si trattasse di un titolo interessante.



Difret – Il coraggio di cambiare

"Più che Cannibal, quello è proprio un Radical!"
Cannibal dice: Difret. Come io che scappo lontano da questo film impegnato. E già che ci sono pure da Ford, uno che certo non ha il coraggio di cambiare. Se non in peggio.
Ford dice: in questo momento della mia vita di spettatore, non ho il coraggio di cambiare. Soprattutto se questo dovesse significare prendere la via cannibale.



Minuscule - La valle delle formiche perdute

"Hey Peppa, che ci fai in pieno territorio fordiano!?"

Cannibal dice: Magari ricordo male io, ma di Minuscole mi pare che ne avevamo già parlato in questa rubrica, e forse anche più di una volta. Adesso sembra che uscirà, finalmente.
Finalmente?
Finalmente magari per Ford che in queste bambinate d'animazione ci sguazza sempre alla grande. A me invece non attira un granché e quindi, considerando anche che gli insetti mi fanno schifo quasi quanto uno spottone patriottico americano spacciato per film da Oscar, lo passo al mio rivale repubblicano.
Ford dice: a furia di parlarne, se non sbaglio questo Minuscule è uscito addirittura in dvd. Ma considerata la distribuzione italiana, non mi stupirei se venisse riproposto in sala.
Comunque, tra un convegno repubblicano e l'altro, farò finta di non vederlo come fossi un democratico incapace di vedere il sangue sulle mani di un nerd gay anglosassone.



Piccoli così
 
"Cannibal Kid ce l'ha piccolo così: e non sto parlando dell'ego."
Cannibal dice: Questo è un documentario sui peni piccoli e tra i protagonisti c'è anche il pistolino di Mr. James Ford. Così almeno sostiene il trailer della pellicola.
Ford dice: dovrò citare in giudizio il regista di questa pellicola per aver interpellato il mio pistolino senza prima essere passato dai piani alti. E non sto parlando del mio cervello, ma di Julez.


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