domenica 12 ottobre 2014

Il nome della rosa

Regia: Jean Jacques Annaud
Origine: Italia, Germania, Francia
Anno:
1986
Durata:
130'





La trama (con parole mie): siamo nel 1327 quando Guglielmo da Baskerville, un monaco dall'enorme cultura e dalla grande curiosità non sempre in linea con le idee della Chiesa, giunge con il suo allievo Adso in un grande monastero italiano in procinto di ospitare un importante incontro che vedrà coinvolti non solo i più in vista tra gli ordini di frati, ma anche i messi vaticani.
Quando una serie di misteriose morti sconvolgerà gli occupanti della struttura e metterà in allarme addirittura l'Inquisizione, Guglielmo dovrà dare fondo a tutte le sue capacità investigative per portare alla luce una complessa macchinazione volta a far rimanere bui i cosiddetti secoli ordita da chi non ha alcun interesse nella divulgazione della cultura.
Riuscirà il decisamente razionale monaco a mettere in scacco i responsabili e portare in salvo i tesori culturali che il monastero nasconde? E quanto quest'esperienza segnerà il giovane Adso?







I miei ricordi de Il nome della rosa sono legati ad una delle letture più forzate e noiose del periodo del liceo, quando, del resto, ogni romanzo imposto dalle scadenze scolastiche finiva per risultare più un supplizio che non un piacere: paradossalmente, quando vidi per la prima volta il film di Annaud - nonchè, forse, il suo lavoro migliore -, rimasi colpito dall'atmosfera che il regista francese, pur limando soprattutto gli aspetti filosofici ed intellettuali dell'opera letteraria, era riuscito a trasportare sullo schermo in una grande produzione che, nonostante i volti noti, riusciva a mantenere intatta l'aura del Cinema d'essai, trovando un insolito equilibrio tra approccio "alto" ed una serie di nomi di richiamo - Sean Connery, sempre grande, e Murray Abraham, su tutti - clamorosamente in parte dal primo all'ultimo.
Incrociando per l'ennesima volta il cammino con questo evergreen del grande e dunque piccolo schermo - potrei aver superato tranquillamente la decina di visioni - quasi per caso non solo ho avuto la piacevole sensazione della rimpatriata con un vecchio amico, ma mi sono ritrovato a tessere le lodi di passaggi che a distanza di quasi trent'anni ancora funzionano alla grande - la ricostruzione degli omicidi da parte di Guglielmo -, interpretazioni memorabili - Ron Perlman, splendido nel ruolo del poliglotta e storpio Salvatore - e piccole chicche che avevo scandalosamente rimosso ed ho ritrovato con enorme piacere, un pò come quando riascoltando un brano conosciuto a memoria finiamo per scovarne significati e sfumature nuove.
In particolare, i due passaggi in questione sono legati a quello che è, del resto, anche uno dei cardini dell'intero lavoro, sia che si tratti di pagina scritta - e di Umberto Eco - che di pellicola - e dunque del già citato Annaud -: il rapporto tra Fede e Ragione, tra umanità ed un'apparente divinità.
Il primo riguarda il confronto tra Guglielmo e Ubertino, con il secondo che, a seguito dell'insistenza del monaco investigatore a proposito dell'esistenza di un mitico libro di Aristotele legato alla Commedia afferma: "Perchè tanto interesse nel riso? Il riso scaccia la paura, e la Fede ha bisogno di paura".
Senza dubbio, rispetto ad un anticlericale nonchè profondamente lontano dalla religione come il sottoscritto, una sequenza di questo genere sfonda una porta aperta e finisce per rappresentare una critica a quanto la Chiesa ha rappresentato di male nei secoli da applausi, eppure sono convinto che anche chi, al contrario, nella Fede trova conforto o rifugio, riesca a capire quello che questa sorta di giallo medievale dai profondi risvolti filosofici e culturali intendeva - ed intende - portare alla luce.
Il secondo è legato alla conclusione, ed alla riflessione che Adso, in età matura - e da narratore esterno -, concederà a quella donna senza nome che ha finito per diventare il grande amore - pur se perduto - della sua vita: il nome della rosa, per l'appunto.
Pensando al personaggio del giovane novizio al seguito di Guglielmo tornano a galla le sensazioni dell'approccio a queste questioni di De Andrè, al suo Cristo dedito all'amore e più vicino ai peccatori, che non al Padre: l'amore per Dio - qualsiasi concetto questa parola incarni -, in effetti, può essere espresso attraverso quello per qualsiasi cosa, anche lontana anni luce da quello che, sulla carta o secondo la Chiesa di turno, è considerato avulso dallo stesso concetto.
Abbiamo bisogno di ridere, e ancor di più d'amore.
A prescindere dal fatto che questo sia legato al sesso, al sapere, al desiderio di esplorare il mondo e conoscerne il più possibile, nel pieno della luce o tra le ombre: e chi se ne priva, inevitabilmente, non soltanto finisce per detestare lo stesso amore, ma anche per lottare con ogni mezzo possibile affinchè anche il resto del mondo possa esserne privato.
Personalmente, citando Milton, "preferisco regnare all'Inferno che servire in Paradiso", se questo significa poter godere appieno di quell'amore.
Poter sentire il profumo di quella rosa. E conoscere il suo nome.




MrFord




"Loneliness will haunt you
will you sacrifice?
Do you take the oath
will you live your life
under the rose."
Kiss - "Under the rose" - 




14 commenti:

  1. il film è certamente meglio del romanzo (lento, logorroico, pesante...) e possiede una serie di battute ironiche (elementare, Adso!) assenti nel romanzo
    bellissima la fotografia e i panorami (hanno filmato in Germania, in Alta Savoia e in Abruzzo)
    P.S. quei monaci puzzavano come capre; fortunatamente al cinema non si sentono odori

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    1. Concordo, almeno per quanto ricordo: il film è certamente più fruibile.
      Ottima la cornice, così come l'ironia.

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  2. A me invece il romanzo di Eco aveva catturato moltissimo, ti dirò. Il film l'ho trovato decisamente inferiore, ma comunque una trasposizione onesta.

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    1. Il romanzo dovrei rileggerlo ora, senza il peso della scuola. Il film, comunque, è valido.

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  3. io invece al liceo avevo saltato il libro ed ero passato direttamente alla pellicola per prepararmi a un'interrogazione e l'ho trovato...
    uno dei film più noiosi mai visti!
    e tu l'hai guardato una decina di volte?
    sei proprio mr. james boring ;D

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    1. Una decina di volte in un paio di secoli non sono poi così tante, no!? ;)

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    2. Scusa la domanda off topic..ma che fine ha fatto il blog del porco?? Ho provato ma mi dice che il blog e' stato rimosso..siccome so che lo conosci..scusa ancora..

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    3. Mi pare di aver capito che ha avuto qualche problema con Blogger, ma ora è tutto a posto!

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  4. Per me il libro è il migliore romanzo di Eco: anch'io ne fui catturato. E' anche vero che pur essendo giovane, non fu una lettura forzata da liceo.
    Comunque è andata peggio a mio figlio: in seconda diedero "Le ultime lettere di Jacopo Ortis e "Cronache di poveri amanti"... da odiare la lettura per tutta la vita!

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    1. Ammazza, direi che non invidio affatto tuo figlio! ;)

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  5. Filmone cult!
    Ultimamente l'ho rivisto su Rai Movie... cavolo che pellicola invecchiata!
    Non lo ricordavo così

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    1. Io invece me lo sono goduto: tra l'altro, mi sa che l'abbiamo entrambi rivisto nella stessa occasione!

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  6. Schifezza putrida come film in sè. Ancora peggio, direi impietoso, se paragonato ad un'opera di quella portata.

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    1. A me l'opera di quella portata è sempre sembrata terribilmente noiosa. Mentre il film scorre decisamente meglio. ;)

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