giovedì 31 gennaio 2013

Thursday's child

La trama (con parole mie): giunti alle soglie di un altro weekend cinematografico e con gli Academy sempre più vicini cominciamo a rimpiangere il folgorante inizio 2013 e ad alzare gli occhi al cielo di fronte alle proposte non sempre esaltanti che la distribuzione nostrana ci propina.
Per passare il tempo, però, resta sempre il simpatico diversivo del tiro al Cannibale, ormai sport nazionale perfino nel suo mondo di coniglioni ormai dominato da un ego dittatoriale.
Dunque, non dovessero rientrare nei vostri gusti viaggi nel tempo e grandi ritorni di action heroes, sapete già cosa fare.

"Di addio al tuo culo, Cannibale. E' iniziata la stagione della caccia!"
Les Misérables di Tom Hooper


Il consiglio di Ford: tra non molto l'ego del Cannibale sarà talmente grande da reputare miserabile il resto di lui.
Tom Hooper è il regista de Il discorso del re.
E già questo potrebbe bastare.
Purtroppo è anche il regista de Il maledetto United, gioiellino sportivo che mi aveva colpito assai. Come se non bastasse, la signora Ford adora i musical. Quindi mi sa tanto che, nonostante le probabili bottigliate, una visione ci scapperà. Ma voi che potete evitarlo, risparmiatevelo. Un pò come potreste risparmiarvi i consigli cinematografici del Cannibale! Ahahahahah!
Il consiglio di Cannibal: beccati ‘sta sucata di film, miserabile Ford!
Questo film potreste adorarlo oppure odiarlo.
Da che parte starò io ve lo rivelerò nella mia recensione in arrivo nei prossimi giorni. A coloro che volessero avventurarsi nella visione della nuova fatica di Tom Hooper dico solo che si troveranno di fronte a un drammone musical da 2 ore e 40 minuti tutti cantati. Tutti.
Più che un film, un’esperienza di vita estrema. Ford sarà abbastanza coraggioso per affrontarla o se la farà sotto come ogni volta che si appresta a una Blog War contro di me?

"Per sopportare l'ego del Cannibale, occorre sbronzarsi proprio forte!"
Looper di Rian Johnson


Il consiglio di Ford: dovrò viaggiare nel tempo per riuscire ad evitare l'ego di Peppa Kid.
I viaggi nel tempo, da Ritorno al futuro a Lost, hanno sempre esercitato un fascino particolare sul vecchio cowboy Ford, da sempre curioso di farsi un viaggio nel 1982 ed impedire la venuta del suo acerrimo nemico Skynet. Pardon, Cannibal.
Looper, per quanto non perfetto, si inserisce bene nel filone e rappresenta un ottimo intrattenimento per una settimana certo non da strapparsi i capelli - i tempi di Django paiono già lontani, purtroppo -: anche in questo caso, recensione a brevissimo.
Il consiglio di Cannibal: sono stato mandato indietro nel tempo per eliminare Ford quando era giovane. Ho dovuto viaggiare indietro di 1000 anni!
Un filmetto che parte bene, con una prima parte di buon intrattenimento fantascientifico, mentre precipita nella noia fordiana nella seconda parte e cade in un finale improbabile. Poteva essere un cult, invece è solo un insieme di idee riciclate nemmeno troppo bene da altri film sui viaggi nel tempo. A Ford, amante delle copie anziché degli originali, ovviamente è piaciuto ma io ormai, in maniera altrettanto poco originale, non mi stupisco nemmeno più.

"... E già che ci siamo, anche al tuo ego!"

The Impossible di Juan Antonio Bayona


Il commento di Ford: impossibile trovare un film più retorico di questo.
Il buon Bayona, nonostante la bravura, mi è puzzato di sòla fin dai tempi non sospetti di The Orphanage, acclamato da gran parte della critica e per me soltanto un riempitivo di lusso. Ora, con questo The Impossible, i timori fordiani della vigilia sono stati confermati: un film che parte forte - con un'ottima rappresentazione del tragico tsunami del 26 dicembre 2004 - per poi naufragare nel buonismo zuccheroso neanche fossimo in un War orse qualsiasi. Recensione a brevissimo al Saloon.
Il consiglio di Cannibal: ho smesso di attaccare Ford solo perché è diventato padre? Impossible!
Ed è tripletta cannibale: ho visto pure questo e la recensione diventerà possibile nei prossimi giorni.
Per ora, dico solo che partivo da aspettative altissime, considerato il cast e visto che il regista spagnolo Juan Antonio Bayona aveva esordito con lo splendido The Orphanage. Ford che, da buon anti-cinema quale si vanta di essere (ah perché, non se ne vanta?), non aveva apprezzato The Orphanage, è partito invece da aspettative del tutto opposte. Ma opposte forse non risulteranno le nostre reazioni al film. Questo comunque lo scoprirete prossimamente solo sul memorabile Pensieri Cannibali e poi, se proprio vi avanzano altri due minuti di tempo, pure sul miserabile WhiteRussian.

"Il Cannibale e Ford d'accordo!? Questa sì che è la fine del mondo!"

The Last Stand - L’ultima sfida di Kim Jee-woon
 
 

Il consiglio di Ford: questa sarà l'ultima sfida tra Ford e il Cannibale? Giammai!
Arnold Schwarzenegger. E già questo potrebbe bastare.
E invece in questo action movie tamarro in pieno stile fordiano troviamo anche Johnny Knoxville e Kim Jee-Woon, regista di cosine niente male come Bittersweet life e I saw the devil. Inutile dire che potrebbe rivelarsi il mio film della settimana. Alla facciazza di quell'inutile antagonista di Peeppa Kid e del suo ego, che ormai ha assunto le dimensioni del parrucchino di Nicholas Cage.
Il consiglio di Cannibal: speriamo sia davvero l’ultima, Arnold!
L’ultima sfida di ArFord Schwarzenegger potrebbe anche essere una delle sue ultime nel cinema. L’ex governatore della California con questo The Last Stand ha infatti centrato negli USA un superfloppone colossale e anche qui da noi l’attesa non è certo alle stelle per il suo ritorno cinematografico. Tranne a casa del mio blogger rivale dove Ford, tra una poppata e l’altra, cercherà di trovare il tempo da dedicare al suo vecchio last action hero. Veccho ancor più di lui, pensate un po’ che roba.
Si preannuncia un film quindi for Ford only, o anche 4 4D only. Alla larga tutti gli altri. Me in particolare.

"Hasta la vista, Peppa Kid!"

Ciao Italia di Barbara Bernardi e Fausto Caviglia


Il consiglio di Ford: io Ciao Italia l'ho detto già da un pezzo, al Cinema.
Documentario di nicchia per radical chic a proposito della fuga di cervelli da questa Terra dei cachi sempre più disastrata per la quale si prospetta purtroppo per noi tutti un altro giro sulla giostra del berlusconismo. Vedete voi. Io comunque spero sempre che, insieme ai cervelli, fugga da qui anche l'ego del Cannibale portandosi dietro il resto della sua inutile carcassa! Ahahahahahah!
Il consiglio di Cannibal: Ciao Italia, addio Ford.
Documentario amatorialeggiante della durata di 50 minuti che uscirà probabilmente in una sala.
Una sala non cinematografica. Una sala intesa come salotto. Forse dei due registi Bernardi & Caviglia. Anche se io sto cercando di convincere i produttori a spostare l’anteprima nella sala di Ford, che ne sarà molto contento.

"Ciao, Cannibal Kid. Non ci mancherai."

Cose cattive di Simone Gandolfo

Il commento di Ford: caro Peeppa Kid, ci hanno rubato l'idea delle Blog Wars!
In condizioni normali avrei snobbato selvaggiamente quest'ennesima proposta made in Italy - la stessa della fuga di cervelli - che verrà distribuita in due sale se va bene, ma la cosa interessante di questo film è che si tratta di una sorta di survival all'interno del quale quattro bloggers devono massacrarsi anche tra loro per poter sopravvivere. Una specie di versione alternativa delle molto più stilose Blog Wars che coinvolgono il sottoscritto e l'ego che si porta dietro il corpo esanime del Coniglione.
Il consiglio di Cannibal: ne ho di cose cattive da dire sul conto di Mr. Ford…
Un film italiano interessante? Davvero?
Probabilmente no, però lo spunto di partenza del film è interessante assai. I protagonisti sono infatti un gruppo di blogger che hanno vinto un concorso per chi ha scritto il post più cattivo.
Voglio assolutamente partecipare a questo concorso. Per essere premiato, scriverei infatti non una recensione bastarda contro qualche film, ma un post interamente dedicato al mio blogger nemico Mr. Ford.
Per il resto, la pellicola mi sa che si trasforma nel classico horror survival, però complimenti agli autori per lo spunto davvero ottimo. Tanto che per una volta non mi sento di dire cose cattive su un film italiano.
Su Ford invece posso dire che potrei batterlo tranquillamente in una gara di cattiverie. Anzi, è una cosa che faccio regolarmente a ogni Blog War. A proposito… ciò che si chiede il mondo intero è: a quando la prossima?

"Hanno trovato i resti di Peeppa Kid: Ford l'ha ridotto proprio male!"

Aspromonte di Hedy Krissane


Il consiglio di Cannibal: aspro cinema
Ho risparmiato le cose cattive al film precedente, non penso che lo farò con quest’altra uscita italiana della settimana. Io vorrei anche sostenere il cinema italiano (ehm, forse…), però dai, sinceramente: ma chi ca**o è che va a vedersi un film del genere?
Ma per favore. Nemmeno Ford.
Registi, sceneggiatori, produttori italiani, ho detto: nemmeno Ford!
Il consiglio di Ford: vi dico solo una cosa, me l'ero dimenticato!
Nel corso della stesura del post, tra un commento e l'altro, mi ero
completamente dimenticato di questo.
Ci sarà pure un motivo, no!?

"Ecco dove esilieremo Ford e Cannibal per la prossima Blog War!"

Il manuale del papà e La guida del giovane papà

Autore: Robert Richter, Eberard Shafer (Il manuale del papà) - Pierre Antilogus, Jean Louis Festjens (La guida del giovane papà)
Origine: Germania (Il manuale del papà) - Francia (La guida del giovane papà)
Anno: 2005 (Il manuale del papà) - 1988 (La guida del giovane papà)
Editore: Tecniche nuove (Il manuale del papà) - EDT (La guida del giovane papà)




La trama (con parole mie):  la nuova frontiera dell'essere padri secondo due letture leggere che possano comunque informare e mantenere sulla soglia d'attenzione necessaria i futuri padri, soprattutto quando si tratta di primi figli.
Il manuale del papà è un'opera di stampo didattico basata su un approccio preciso, dettagliato e didascalico, ricca di informazioni e basata su una concezione molto razionale del percorso che porta al fatidico momento del parto - e oltre -.
La guida del giovane papà è una sorta di parodia dei momenti migliori - e peggiori - che aspettano il futuro genitore dal momento della scoperta della "dolce attesa" ai trent'anni suonati del suo futuro erede.




Già lo so che qualcuno tra gli avventori più stagionati del Saloon storcerà il naso rispetto a questo tipo di letture, specie se affrontate da uno che predica la filosofia dell’imparare dall’esperienza come il sottoscritto: parrebbe quasi suonare come una ritirata, o peggio un ritrattare il panesalamismo di cui vado così fiero.
Al contrario devo ammettere che, così come il corso preparto – esperienza mitica -, questi due libri piccoli piccoli dalla lettura veloce e leggera sono stati una buona fonte d’informazioni rispetto a quello che è, di fatto, il mestiere più difficile e soddisfacente ad un tempo del mondo: quello del genitore.
Ovviamente quella che sarà la mia vita da padre “sul campo” andrà ben oltre le pagine dei consigli e le descrizioni delle esperienze altrui – degli autori, nello specifico -, e probabilmente al primo cambio di pannolino la mente si farà vuota e non riuscirò a ricordare nulla di quello che ho letto o ascoltato, eppure buttarmi in queste pagine è stato piacevole e confortante, quasi potessi contare su una sorta di cuscinetto soprattutto nelle temibili prime sei settimane, quando se il destino è avverso – ed il bimbo non ama dormire la notte – le cose possono diventare drammatiche per i genitori, anche considerato che, purtroppo, in Italia non esistono cose intelligenti come un periodo anche minimo di permesso lavorativo per i padri – che sono costretti a bruciarsi le ferie per poter stare accanto alla compagna ed al nuovo arrivato almeno nei primi giorni – e l’occupazione continua ad incombere senza pietà alcuna.
Dei due testi ho trovato sicuramente più valido Il manuale del papà, a volte forse un po’ troppo didascalico ma sicuramente più indicato per cominciare a masticare qualcosa sia rispetto alla preparazione al parto – che, se è pur vero che si tratta di un’incombenza femminile, incide su entrambi i componenti di ogni coppia che voglia partecipare “come squadra” al lieto evento – che al periodo post-nascita, mentre La guida del giovane papà, sulla carta più easy e “narrativa” appare a volte un po’ troppo forzatamente simpatica – e dunque, di fatto, finta – per poter conquistare un lettore come il sottoscritto, che cerca sempre negli autori una certa onestà nel portare sulla pagina storie ed esperienze – in questo senso, ho trovato pressoché perfetta soltanto l’introduzione al testo di Baricco -.
Ad essere sincero, poi, inizialmente avevo pensato di ignorare bellamente da queste parti l’idea di dedicare un post a due titoli assolutamente settoriali e lontani dalla consuetudine del bancone grezzo e dell’alcool, ma considerato l’arrivo del Fordino ho trovato la cosa in qualche modo affascinante, anche perché voi per primi sarete testimoni, pur se indiretti, dell’impatto che il piccoletto avrà rispetto alle vite del sottoscritto e di Julez così come sulla quotidianità del blog, che potrebbe allargare la sua sfera di competenza anche alle esperienze “paterne” di questo vecchio cowboy.
Niente, ovviamente, è certo, o definito, un po’ come l’esperienza di questo viaggio assolutamente unico che, nonostante i corsi, i consigli di parenti o amici già padri e chi più ne ha, più ne metta, giorno dopo giorno diviene qualcosa di profondamente intimo ed unico, così come il legame che ci porterà a lasciare quella che è la più grande eredità che un essere umano possa regalare al mondo: una nuova esistenza.
E di nuovo mi rendo conto che una frase come questa potrebbe suonare addirittura new age o radical chic da genitore “di cultura”, dunque passo oltre e me la gioco affermando che questi due testi sono stati un piacevole riempitivo nell’attesa dell’arrivo del Fordino ma che non potranno mai e poi mai sostituire quello che sarà il mio rapporto con lui, le cose che avremo in comune e quelle che, al contrario, ci porteranno a trovarci su fronti opposti: e chissà che, un giorno, non decida anche io di scrivere qualcosa legato a questo periodo così particolare e che, in qualche modo, non avrà mai fine, perché una volta passati “dall’altra parte” e divenuti genitori, si continuerà ad esserlo per sempre.
Di sicuro è presente la voglia e la curiosità di conoscerlo ed il desiderio di trasmettere tutto quello che la Frontiera ha insegnato a me, sperando che possa fare del suo meglio per goderselo e trovare una strada che possa renderlo felice ed appassionato, curioso ed affamato di vita almeno quanto continua ad essere anche quel vecchiaccio di suo padre.
E poi, in un prossimo futuro, forse toccherà anche a lui affrontare la lettura di un manuale che tenterà di tradurre in parole quello che è il mestiere più antico e difficile del mondo.
E anche lui penserà che, chissà, quel libretto sarà stato soltanto un modo per accorciare i tempi e passare, finalmente, dalla teoria alla pratica.
Perché non c’è pratica più intensa e soddisfacente di questa.


MrFord


"It's not time to make a change,
just sit down, take it slowly.
you're still young, that's your fault,
there's so much you have to go through.
Find a girl, settle down,
if you want, you can marry.
Look at me, I am old, but I'm happy."
Cat Stevens - "Father and son" -


 

mercoledì 30 gennaio 2013

Lincoln

Regia: Steven Spielberg
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 150'



La trama (con parole mie): la Guerra di Secessione impazza negli Stati Uniti del 1865, e mentre cominciano a non contarsi più le vittime da entrambe le parti della barricata il Presidente Lincoln, eletto per la seconda volta, cerca di muovere ogni pedina politica possibile affinchè venga finalmente approvato dal Congresso l'emendamento che prevede l'abolizione della schiavitù, viatico fondamentale per una pace da troppo tempo inseguita.
L'operazione, però, è più complessa di quanto non si possa pensare, e passa attraverso scambi di favori e continue trattative anche con l'opposizione, richiedendo il sacrificio, l'abnegazione ed il lavoro non soltanto del Presidente stesso, ma di tutti i suoi uomini più fidati.
Nel frattempo, osserviamo quanto una figura adorata dall'opinione pubblica vivesse un'esistenza tormentata in seno alla famiglia, in un continuo rinnovarsi dei conflitti con la moglie - che non superò mai la morte di uno dei figli - e con il primogenito, ansioso di emanciparsi dalla scomoda figura paterna.





E così, anche quest'anno mi tocca.
Era già capitato, nel pieno della corsa agli Oscar 2012, di dover dare fondo da queste parti alle bottigliate più selvagge all'indirizzo di quello che è stato, soprattutto negli anni ottanta, uno dei registi più importanti che l'immaginario collettivo mondiale degli appassionati della settima arte potesse sperare di ammirare: Steven Spielberg.
Ormai in ombra da qualche anno, il regista di Cincinnati toccò il punto più basso - o almeno uno dei - della sua carriera con War horse, sbrodolata retorica senza dubbio girata da dio ma infarcita da talmente tanto zucchero da far rischiare il diabete anche al più reticente degli spettatori, oltre a far riconsiderare cose come Salvate il soldato Ryan praticamente pezzi di ghiaccio fatti pellicola senza alcuna concessione alla lacrima facile.
Lincoln - e badate, perchè neppure il Cannibale oserà tanto - è anche peggio.
Perchè è un film stantìo, moscio, noioso, autocelebrativo, che puzza di vecchio lontano un chilometro.
Certo,  è realizzato con tutti i crismi, fotografato da restare a bocca aperta - anche se il buon Steven, forse, pensa di essere diventato il Kubrick di Barry Lyndon: impresa impossibile, bello mio - da Janusz Kaminski, reso prezioso da un cast all star e da interpretazioni notevoli - su tutte, quella di James Spader, per nulla uno dei miei favoriti, ma in questa occasione fenomenale -, portato a termine con una perizia maniacale per i dettagli.
Eppure rappresenta un Cinema che ormai ha segnato il suo tempo, e che soltanto i Maestri - e ne sono rimasti pochi -  sono in grado di portare sullo schermo senza risultare anacronistici e pomposi: perfino il tanto celebrato Daniel Day Lewis - attore fenomenale che ho sempre adorato - mi è parso fin troppo gigioneggiante nel suo rendere Lincoln un personaggio se non addirittura una macchietta.
Un Cinema verboso, compiaciuto di se stesso, fintamente democratico e profondamente buonista, che fa di una morale soltanto suggerita il suo cavallo - neanche a farlo apposta - di battaglia e si spaccia per monumentale opera d'autore in grado di far credere allo spettatore occasionale di aver assistito ad un vero e proprio miracolo della settima arte.
Tutte palle, signori miei, lasciatevelo dire.
Osservando le immagini splendide firmate Spielberg scorrere mentre pregavo che le due ore e mezza giungessero al termine - rovinando, tra l'altro, anche quel poco di interessante che poteva esserci con un finale infarcito di retorica delle peggiori, una sorta di versione su pellicola delle sparate di Bono -, mi è tornato alla mente un personaggio interpretato dallo stesso protagonista di questo film ormai una decina d'anni or sono, Bill Cutting il macellaio nell'imperfetto eppure mitico Gangs of New York di Martin Scorsese.
Bill, aquila spietata e volto di un'America che non guarda in faccia a nessuno perchè forgiata nella violenza ed abituata alla legge del più forte è tutto quello che questo Lincoln non ha il coraggio di essere e diventare: e non parlo dell'approccio politico e sotto le righe - almeno apparentemente -, degli intenti e del messaggio, dello spessore di uno dei Presidenti più importanti che gli States abbiano mai avuto - non per nulla finito assassinato -, ma della spocchia che il gioco del buon samaritano di Spielberg ben nasconde fingendo che tutto sia legato, in realtà, ad una sorta di omaggio alla politica democratica attuale e alle rivincite di Obama rispetto agli anni oscuri del regime bushista.
Peccato che il mordente si perda tutto in intrighi di palazzo che non hanno nulla a che fare con la denuncia o il riscatto, la voglia di mostrare la forza della democrazia ed i suoi lati nascosti - per questo è decisamente più efficace l'ottimo Le idi di marzo -, quanto con il compiaciuto benessere da Fattoria degli animali all'interno della quale "tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri".
In questo senso è assolutamente esemplare la vicenda del figlio maggiore di Lincoln, una delle poche cose interessanti della pellicola, che forse avrebbe fatto meglio a vertere sulle imperfezioni della vita privata del Presidente piuttosto che sui suoi verbosi racconti sempre pronti ad enfatizzare la sua presenza pubblica.
Mi dispiace davvero, per Spielberg.
Perchè la sua mano è sempre strepitosa, ma tutto quello che era rimasto della meraviglia è ormai da tempo sepolto come i ricordi di un grande Presidente che ormai fa parte della Storia.
Caro Steven, se vuoi guardare avanti e puntare al futuro, sarà davvero il caso che tu ti possa liberare della forma per tornare allo stupore.


MrFord


"You may say I'm a dreamer
but I'm not the only one
I hope someday you'll join us
and the world will be as one."
John Lennon - "Imagine" -


 

martedì 29 gennaio 2013

Flight

Regia: Robert Zemeckis
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 138'




La trama (con parole mie): Whip Whitaker è un pilota di linea esperto e di talento con un matrimonio fallito alle spalle, un figlio con il quale non parla ed un problema legato all'alcool. 
Dopo una nottata di baldoria con una delle sue hostess a suon di bevute e cocaina prende il comando di un aereo che da Orlando è diretto ad Atlanta: dopo aver superato indenne una pesante turbolenza, Whip riesce per miracolo ed abilità ad operare un atterraggio di emergenza causato da un malfunzionamento meccanico riuscendo a portare in salvo novantasei dei centodue passeggeri.
Per i media è un eroe, ma le indagini indicano che il suo sangue presenta valori fuori norma, trasformandolo nel capro espiatorio più facile rispetto all'inchiesta che segue il disastro, legata ai risarcimenti alle vittime.
Whip sarà costretto dunque ad affrontare i suoi demoni ed il suo passato per poter fare finalmente i conti con la vita ed i sensi di colpa che lo tormentano.





Ricordo quando, qualche anno fa - e non voglio sottolineare esattamente quanti - mi massacrai di visioni e lessi il romanzo - esattamente in quest'ordine - di Alta fedeltà, commedia romantica alternativa tutta giocata sull'amore del protagonista - e dell'autore - per la musica: proprio per bocca degli stessi si aveva l'occasione di scoprire che, nel pianificare una compilation - termine ormai quasi obsoleto e sostituito dal più freddo playlist - occorreva sparare cartucce di un certo carico in apertura ed in chiusura, lasciando i pezzi meno incisivi per la parte centrale.
Senza dubbio Nick Hornby, John Cusack e Robert Zemeckis hanno in parte ragione, eppure ho sempre considerato un azzardo notevole quello di giocarsi le migliori risorse in apertura, rischiando di rimanere senza fiato proprio sul più bello, proprio come un pugile che parte forte sperando di mettere l'avversario al tappeto entro un paio di round e poi si ritrova a metà incontro con le gambe che cedono: Flight è proprio così.
Nonostante, infatti, una sequenza iniziale da cardiopalma girata e giostrata alla grandissima - dall'apertura al momento dell'impatto dell'aereo si vive praticamente con il fiato della pellicola sul collo - ed un Denzellone nostro in forma smagliante - il suo balbettio e la resa splendida dei fantasmi della dipendenza sono da manuale -, il lavoro di Zemeckis manca senza dubbio della scintilla in grado di trasformare un'opera caruccia e guardabile in qualcosa di destinato davvero a restare nella memoria dello spettatore per qualcosa di diverso dalla perizia tecnica e dal sensazionalismo di una morale piuttosto spiccata.
Certo, da bevitore di un certo livello potrò suonare campanilista e di parte nel criticare la storia di un protagonista senza dubbio nel torto rispetto alla condotta ma in grado di salvare come nessun altro le vite di novantasei passeggeri presentata come se fosse un esempio da mostrare nei circoli degli alcolisti anonimi e alla giuria dell'Academy o dei Festival più importanti giusto per darsi un tono da moralizzatori finti alternativi, eppure ho trovato impossibile non riconoscere l'evidente calo che lo script firmato da John Gatins - sceneggiatore specializzato in film formativi di ambito sportivo come Coach Carter e Real steel - manifesta dalla prima alla seconda parte del film, e che l'interpretazione indubbiamente maiuscola di Washington - come già giustamente sottolineato - non può sperare, da sola, di riuscire a compensare.
Eppure le premesse per fare bene c'erano tutte, dal senso di disagio alla posizione dell'outsider, dal rapporto tra il ruolo di eroe - è indubbio che Whitaker sia il responsabile della salvezza dei novantasei superstiti dell'incidente - e quello di colpevole per la Legge - è altrettanto ovvio che il Capitano fosse completamente preda di alcool e droga prima, durante e dopo il volo -, dal confronto tra il protagonista e suo figlio ad una struttura da legal thriller mascherato da riscatto sociale, senza contare una possibile storia d'amore finita male in grado di rompere le consuetudini zuccherose del genere romantico e non solo.
Ma l'impressione è che Zemeckis ed il suo staff non abbiano voluto affondare troppo sull'acceleratore per evitare di inimicarsi l'Academy così come i responsabili dei vari Festival nonchè del pubblico abituato ai blockbuster di grana grossa, finendo in questo modo di fatto per remare contro l'effettiva portata di un film che avrebbe senza dubbio potuto ambire a molto più di quanto non arrivi a portarsi a casa alla fine, troppo preso a non concedere troppo alla realtà di una vita che bastona senza ritegno e dalla volontà di fornire un lieto fine anche quando il lieto fine stesso risulta stonato e poco utile.
Peccato, perchè vedere un regista - seppur artigiano - di grande capacità come Zemeckis svilirsi più di quanto non abbia già fatto per cercare di portarsi a casa un qualche riconoscimento è davvero desolante, almeno quanto il finale moralizzatore che, più che commuovere o far riflettere, finisce per risultare didascalico e da piedistallo.
E qui da queste parti, è sempre meglio un talentuoso errore da sbronza che non un pentito dietrofront da Libro Cuore.


MrFord


"Picket lines and picket signs
don't punish me with brutality
talk to me, so you can see
oh, what's going on
what's going on
ya, what's going on
ah, what's going on."
Marvin Gaye - "What's going on" -


 

lunedì 28 gennaio 2013

Quello che so sull'amore

Regia: Gabriele Muccino
Origine: USA, Italia
Anno: 2012
Durata:
105'




La trama (con parole mie): George Dreyer, ex grande calciatore scozzese, vive negli Stati Uniti ormai quasi spiantato sperando di diventare cronista sportivo mentre l'ex moglie Stacie è in procinto di convolare a nozze con il suo nuovo compagno.
Quando George rimpiazza l'allenatore della squadra di calcio dove milita il figlio, i sentimenti per Stacie e la sua voglia di famiglia si risvegliano: l'uomo dovrà passare attraverso la consueta anticamera di guai prima di poter conquistare la sua seconda possibilità.
Tra lui e la sua ex, infatti, passano le vicende di una manciata di mamme molto interessante ai risvolti umani del nuovo mister della squadra dei figli ed un troppo generoso padre autonominatosi finanziatore del team.




Lo so, cosa state pensando.
Muccino. Commedia romantica. Il Saloon.
Il voto era prevedibilissimo.
Eppure devo dirvelo: secondo me all'inizio della sua carriera il buon Gabri prometteva anche discretamente.
Come te nessuno mai mi era piaciuto molto, e anche L'ultimo bacio, tutto sommato, aveva qualcosa da dire. Poi sono arrivate fama e gloria, e per il tronfio nostro compatriota è arrivato il massaggio all'ego cui nella Terra dei cachi siamo così sensibili, e addio.
Da dimenticare, dunque, le pellicole della consacrazione in patria, ed ancor di più quelle d'esportazione, il retorico oltre misura La ricerca della felicità e l'ancor peggiore Sette anime.
Tutto, per arrivare ad una trentina di chili in più sul suolo americano e a Quello che so sull'amore.
E devo dire che mi dispiace anche distruggere completamente un film con protagonista Gerard Butler: perchè a me questo scozzese ruvido piace, ha il sapore del fordiano.
Ma non si può fare proprio altro: Quello che so sull'amore è una vera merda, come direbbe il Bardo.
Avete presente quei film che già potrebbero concorrere per il Ford Award di peggiore dell'anno che, incredibilmente, riescono ad essere resi perfino più indigesti da una fase di post-produzione agghiacciante?
L'ultima fatica del Muccino nostro è un esempio perfetto della categoria.
Attori in gigioneggiamento incontrollato - scandaloso Quaid -, logica mandata in vacanza forzata - ma un ex fuoriclasse di calcio andato in rovina venderebbe mai le magliette delle sue partite migliori invece della Porsche? -, sceneggiatura e dialoghi ridicoli, buonismo da far impallidire Topolino e trasformarlo in una sorta di Mr. Blonde, contorno patinato da blockbuster di mezza tacca ed atmosfera da casalinghe disperate.
Inizialmente avevo previsto un mezzo voto in più giusto grazie ad un paio di movimenti di macchina ben riusciti - almeno l'uomo che ha digerito il primo Muccino si ricorda ancora di essere in grado di compierli -, ma il finale da favoletta indigesta perfino a Winnie the Pooh è riuscito a cancellare qualsiasi traccia del regista e lasciare in ballo soltanto il ridicolo di una pellicola per spettatori occasionali tra gli spettatori occasionali, che probabilmente finiranno per dimenticarsi di tutto anche piuttosto in fretta.
Così come questo inizio anno, dunque, è riuscito a regalare al sottoscritto una manciata di visioni che senza dubbio saranno presenze importanti per la classifica 2013 dedicata al meglio della settima arte, Muccino prenota già il suo posto per la worst ten fordiana puntando in alto senza guardare in faccia a nessuno, infischiandosene di chi gli vuole male e anche di chi deve aver ingurgitato per ridursi - senza peraltro avere la benchè minima speranza di esserlo - alla copia slavata di Orson Welles.
Una commedia romantica nella peggior accezione del termine, che mescola i buoni sentimenti ad un divertimento spicciolo, il rapporto tra padri e figli alla più classica delle tormentate storie di genitori divorziati che si ritrovano, il gusto per il Cinema di grana grossa ai sabati pomeriggio in cui entrare in sala regala più o meno la stessa sensazione di essere gettati nella gabbia delle belve in un antico show di gladiatori.
Occorre armarsi di bottiglie solide e resistenti per arrivare in fondo ancora in piedi.
Più o meno la stessa cosa che servirebbe per dare a Muccino quello che si merita.


MrFord


"You leave it all on the table
if you lose or you win
you've got to learn to love
the world you're living in."
Bon Jovi - "Learn to love" -


La musica è sempre più blu: inizio delle votazioni!

La trama (con parole mie): continua il percorso che condurrà alla finale del ControSanremo made in blogosfera. Questa settimana, concluse le iscrizioni, si parte con quelle che saranno le votazioni ufficiali delle canzoni che lotteranno per conquistare la finalissima ospitata nientemeno che nella tana de L'Orablu, il 16 febbraio.
Dunque approfittate, correte subito sulla pagina linkata e votate, votate, votate.
Anche perchè perfino il vostro cowboy preferito partecipa, quindi un sostegno è sempre gradito.


Amici followers, è tempo di verdetti per LA MUSICA E' SEMPRE PIU' BLU!

Ha infatti inizio oggi la seconda fase della gara, nella quale le canzoni proposte si batteranno in uno scontro all'ultimo voto per aggiudicarsi i posti per la finale! 213 canzoni totali, ma soltanto 12 accederanno alla finale, e come ogni festival che si rispetti il giudizio spetta al popolo; il popolo della rete ovviamente...

Per ogni categoria saranno scelte le 3 canzoni più votate, canzoni che approderanno alla finale di sabato 16 febbraio, può votare chiunque, senza necessariamente essere iscritto al contest, e per farlo basta andare sul blog www.orablu.blogspot.it, lì troverete i sondaggi nei quali potrete scegliere i vostri pezzi preferiti. I sondaggi permettono una scelta multipla fino ad un massimo di 9 preferenze per ogni categoria; la votazione per ogni categoria è permessa una sola volta per ciascuno, onde evitare ondate di votazioni che inficerebbero il risultato finale. Da questo momento hanno inizio ufficialmente le votazioni per le categorie "12 anni di musica alternativa" e "Italian Trash", i sondaggi si chiuderanno sabato 2 febbraio per lasciare spazio alle votazioni per le successive categorie.

Nota importante: La categoria Italian Trash contiene il peggio del peggio della musica italiana selezionata dai partecipanti, quindi ricordate che va votato il pezzo peggiore!

Su questo, come sugli altri blog che partecipano al contest, potete trovare i gadget per ascoltare tutte le canzoni in gara, non vi resta che prestare bene orecchio e fare la vostra scelta!

E che vinca il migliore (O il peggiore...)!

domenica 27 gennaio 2013

Serial killer: storia, sangue, leggenda

Autori: Harold Schechter, David Everitt
Origine: USA
Anno: 2008
Editore:
LIT



La trama (con parole mie):  dai ritratti dei più famosi serial killers americani - e non solo - ad una panoramica di leggende, dicerie, strumenti ed armi predilette dei "mostri della porta accanto". Un dizionario che spazia in una delle zone d'ombra più agghiaccianti della Storia - recente ma non solo - dell'Uomo, e che porta a riflettere rispetto alle profondità che la nostra psiche è in grado di raggiungere.
Un viaggio che dalla Bathory a Jack lo squartatore giunge fino a Zodiac e Jeffrey Dahmer, arricchito da un'appendice firmata da Silvia D'Ortenzi e dedicata a dieci figure di spicco di assassini seriali italiani: numeri di vittime, modus operandi, storie personali per una galleria di orrore e violenza che farebbe impallidire anche i più terribili tra i predatori presenti in Natura.





Come ormai tutti gli avventori del Saloon ben sanno, in casa Ford la questione morti ammazzati è da sempre origine di una particolare fascinazione che cattura sia Julez che il sottoscritto, e che tende ad amplificarsi quando si tocca l'argomento serial killers.
Di recente - in particolare dopo la lettura dello strepitoso Io ti troverò - ho riscoperto questo universo messo in un cantuccio negli ultimi anni, andando a spolverarmi Serial killer - Storie di un'ossessione omicida di Lucarelli e Picozzi andando alla ricerca - pur con altri occhi - di vicende che già ben conoscevo così come di quelle di cui non sapevo assolutamente nulla.
Approfittando del momento e di una potenziale lettura in comune, la signora Ford ha incluso nella serie di regali per il compleanno del sottoscritto questo volume dall'aspetto di dizionario che racchiude in egual misura voci di tipo "tecnico" - armi, modus operandi, tipologie di crimini -, "biografico" - i ritratti dei più famosi tra gli omicidi seriali - e "leggendario" - con excursus nell'ambito di Musica, Cinema e Letteratura -: onestamente devo ammettere, da "esperto" della questione, di essere rimasto deluso - e non poco - dal lavoro di David Everitt e Harold Schechter, troppo concentrato sull'aspetto spettacolare e scandalistico che non da quello scientifico e di ricerca.
Paradossalmente, proprio a questo proposito, le indicazioni e le "voci" più interessanti sono quelle legate ai consigli sulle visioni e addirittura sugli ascolti - splendida la top ten dei pezzi legati al crimine violento, tra i quali spicca una delle mie canzoni favorite del grandissimo Warren Zevon, Excitable boy - o alle curiosità più macabre e "televisive" nell'accezione negativa del termine.
Il resto, dalle biografie all'approccio, mi è parso decisamente troppo scandalistico e studioapertiano, nonchè un pò troppo indirizzato alla componente necrofila degli omicidi di alcuni serial killers, tanto da farmi venire più di un dubbio a proposito di eventuali devianze ed ossessioni degli autori stessi del libro: come se non bastasse ho riscontrato, nel caso di alcuni personaggi di spicco del settore che ben conosco come Edmund Kemper o Fritz Haarmann, clamorose omissioni e distorsioni nella compilazione dei racconti legati alle loro vite, quasi si volesse esclusivamente porre l'accento sul lato terribile e spaventoso di questi mostri che tanto spesso, al contrario, manifestano caratteristiche mimetiche eccezionali e legate ad un quoziente intellettivo - come per l'appena citato Kemper - decisamente oltre la media.
Troppo semplice - specie in un lavoro di questo genere - da parte degli autori bollare queste persone come mostri dediti fin dall'infanzia alla tortura e alla violenza, attratti sempre ed inesorabilmente dai rapporti con i cadaveri delle vittime - in realtà la percentuale è decisamente bassa - e limitarsi ad un'esposizione dei fatti salienti delle loro vite superficiale e tutta puntata allo sconvolgimento dei lettori: la cosa, infatti, che tendenzialmente più attrae nel comportamento di criminali di questo tipo, è la capacità di mantenere un controllo - quantomeno apparente - delle loro vite nonostante una convivenza tendenzialmente civile con il mondo.
Certo, esistono casi eclatanti come quelli di Albert Fish o Carl Panzram - dediti alla malvagità in tutto e per tutto, dal primo all'ultimo istante delle loro vite -, ma anche altri come quelli di Jeffrey Dahmer - per anni fuggito alle autorità grazie ad una buona dialettica e l'apparenza innocua -, Ted Bundy - un avvocato che lo stesso giudice che pronunciò la sua condanna non esitò a definire promettente - o Ed Gein - che nonostante le turbe legate alla convivenza con la madre, passò anni a collezionare i suoi macabri trofei prima di essere individuato dalla polizia -.
Insomma, se questa sorta di dizionario poteva essere un piccolo compendio ad orrori estremamente reali dal sapore oscuro - quello che, di fatto, per il piccolo e grande schermo fu Twin Peaks -, ad una lettura più smaliziata risulta niente più che un telegiornale o un talk show serale pronto a scandalizzare per sfruttare l'onda di una notizia sconvolgente.
Troppo poco, anche per i peggiori mostri che il genere umano abbia generato.


MrFord


"Fear of the dark, fear of the dark
I have constant fear that something's
always near
fear of the dark, fear of the dark
I have a phobia that someone's
always there."
Iron Maiden - "Fear of the dark" -


sabato 26 gennaio 2013

Aladdin

Regia: Ron Clements, John Musker
Origine: USA
Anno: 1992
Durata: 90'




La trama (con parole mie): il giovane Aladdin è un ladruncolo che vive alla giornata con la scimmia Abu nella città ai piedi del palazzo del sultano, da sempre in cerca di un marito per la figlia Jasmine, principessa che vorrebbe sposarsi per amore e non per legge.
Alla loro ombra trama il perfido visir Jafar, che consigliato malignamente dal pappagallo Jago individua proprio in Aladdin il "diamante grezzo" che lo spirito della Cava delle meraviglie necessita per aprire il passaggio che conduce al tesoro più grande di tutti quelli che si possono immaginare: una lampada magica in grado di evocare un Genio, ovvero uno spirito dotato di poteri quasi divini che è costretto a mettersi a disposizione di chi sfrega la lampada stessa per avverare tre suoi desideri.
Aladdin e Abu, ingannati da Jafar, riescono a fuggire rubando il potente artefatto, che potrebbe - grazie al contributo del Genio - spalancare al ragazzo le porte del palazzo e del cuore di Jasmine.





Il periodo invernale è sempre ottimo, almeno in casa Ford, per recuperare qualche vecchio, sano film Disney di quelli che hanno, di fatto, segnato infanzia e crescita del sottoscritto: ricordo che facevo le medie ed era una delle mie prime uscite con gli amici senza genitori a seguito quando, con i miei tre inseparabili compari di allora, vedemmo Aladdin in sala.
Come era stato con Stargate – visto con mio padre non troppo tempo prima – ebbi la percezione per la prima volta che il Cinema fosse entrato in una nuova era ancora più meravigliosa e magica di quella che mi aveva accompagnato per tutti gli anni ottanta: come la grande D avrebbe dimostrato anche l’anno successivo con La bella e la bestia, la nuova frontiera per l’animazione classica – che avrebbe aperto le porte al fenomeno Pixar – aveva raggiunto il pubblico lasciandolo a bocca aperta con preziosismi tecnici e profondità di campo tali da anticipare, di fatto, quello che è il 3D attuale – e portandosi a casa un risultato anche migliore -.
Ma Aladdin e la sua magia non sono soltanto cura tecnica: grazie all’ispirazione e all’atmosfera de Le mille e una notte ed un approccio che incrocia l’azione sfrenata – ancora oggi in titoli come Prince of Persia si nota l’influenza delle avventure del nostro “diamante allo stato grezzo”, che a sua volta pescò a piene mani da Il ladro di Baghdad interpretato da Douglas Fairbanks – con una struttura da musical – ed una manciata di canzoni che anche in italiano divennero degli instant cult come Notti d’Oriente, Il mondo è mio o Il grande Alì –, tutto funziona per uno dei “Classici moderni” più riusciti della casa madre di Topolino e soci.
Uno dei grandi meriti dell’appena citata riuscita risiede senza dubbio nell’aver anche azzeccato praticamente ogni personaggio: dal protagonista impavido e scavezzacollo – e con una spalla d’eccezione, la scimmia Abu – alla principessa – una delle meno fighe di legno, nonostante il suo ostruzionismo ai pretendenti, mai viste in una proposta Disney -, dal cattivo – il perfido Jafar con tanto di anima nera pennuta – all’incomparabile Genio, mattatore della pellicola doppiato in originale da Robin Williams ed in italiano – per una volta reso alla grandissima – da un Gigi Proietti in assoluto spolvero.
Proprio le sequenze giocate tutte attorno alla magica creatura blu mi fecero uscire, all’epoca, ad un metro da terra dalla sala, ed ancora oggi travolgono per la loro energia e dinamismo: i giochi di parole e di effetti non hanno infatti perso nulla dello smalto che resero immediatamente il lavoro di Clements e Musker – che in seguito portarono sugli schermi anche il discreto Il pianeta del tesoro – uno degli imperdibili per gli appassionati del genere, grandi o piccini che fossero.
Il gusto dell’avventura ed i colori caldi ed accesi d’Oriente, mescolati a temi interessanti ed accessibili – il riscatto sociale di Aladdin e l’importanza della sua identità, la libertà del Genio ed i suoi poteri praticamente divini confinati “in un minuscolo spazio vitale” – contribuiscono dunque a conferire spessore anche nel divertimento ad una pellicola che ha avuto senza dubbio la fortuna che ha meritato, aprendo la strada al riconoscimento dell’animazione made in USA – il discorso dell’Europa, di Miyazaki o di Ocelot è differente – anche nell’ambito autoriale e confermandosi come uno degli ultimi acuti della produzione Disney “disegnata” – con l’ascesa della già citata Pixar, passeranno anni prima di poter assistere ad uno spettacolo dello stesso spessore completamente “home made” -.
Non vi fosse più capitato di rispolverarlo, concedete a questo film un recupero senza aspettare che sia di nuovo trasmesso in tv: passaggi come la comparsa della Caverna delle Meraviglie in pieno deserto o l’arrivo di Aladdin versione principe in città sono una vera gioia per gli occhi da gustare senza età o limitazioni di sorta, cantando a squarciagola una delle colonne sonore più belle mai realizzate per un titolo di questo genere e lasciando che l’insieme di questa magia vi travolga, fosse anche soltanto per sperare nel trionfo del cattivo che, in ogni caso, puntualmente non si verificherà.
In fondo, il Genio mica è presente all’appello per niente, no!? E siamo o non siamo nel cuore pulsante della Disney!?
E già che ci siete, potrete anche dilettarvi nel riflettere su quali sarebbero, in caso, i vostri tre desideri.
Io un paio li ho già per la mente.


MrFord


"Grande Alí, eccolo lì, Alí Ababua!
Muscoloso, meraviglioso, vale per tre!
Ci piace a sua signoria!
E' mitico alla follia!
E' un'altra categoria!
E' il grande ali'!
Sono d'oro i suoi mille cammelli!
(E vediamo i cammelli che entrano in campo)
E i pavoni color viola e blu!
(Veramente favolosi e d'alta moda)
Le sue bestie son veri gioielli!
Che cos'é?
Uno zoo?
Bee io lo so,
E' un serraglio di sangue blu!"
Gigi Proietti - "Alì Ababua" -


venerdì 25 gennaio 2013

Cercasi amore per la fine del mondo

Regia: Lorene Scafaria
Origine: USA
Anno: 2012
Durata: 101'




La trama (con parole mie): Dodge è stato da non troppo tempo lasciato dalla moglie Linda, vive solo, ha una donna delle pulizie messicana troppo affezionata al suo lavoro, un rapporto irrisolto con il padre e si tiene stretta una routine che in realtà lo chiude ancor più del dolore.
Come se non bastasse, un asteroide sta per colpire la Terra, ed entro tre settimane il mondo conoscerà la sua fine.
Quando Penny entra nella vita dell'uomo da una finestra - letteralmente - tutto cambia: e da un viaggio surreale alla ricerca degli equilibri perduti potrebbe finire per nascere qualcosa di inaspettato in grado di salvare queste due malinconie traformandole in qualcosa di più grande proprio nel momento del botto che dovrebbe porre fine a tutto.




I film Sundance-style sono sempre piuttosto strani, da affrontare: il rischio di trovarsi di fronte schifezze d'autore da tempesta di bottigliate e cacca sullo zerbino così come piccoli cult per i quali perdere la testa è pressochè lo stesso, e proprio per questo motivo qui al Saloon la circospezione è praticamente di casa, quando si affrontano proposte di questo genere.
Il lavoro di Lorene Scafaria - attrice e sceneggiatrice al suo debutto dietro la macchina da presa - cui non avrei dato troppo credito alla vigilia, si pone in una giusta via di mezzo guadagnandosi il credito necessario a non passare per qualcosa di dimenticabile riuscendo a stimolare con discreta facilità qualche riflessione niente male lasciata passare attraverso le risate e le lacrime.
Certo, il plot non è una bomba di originalità e i due protagonisti non sono certo i migliori sulla piazza - Steve Carell, per quanto mi possa stare simpatico, non è che sia proprio Al Pacino, e Keira Knightley pare peggiorare ad ogni film che passa -, eppure qualche apparizione gustosa - come quelle di Martin Sheen nel ruolo del padre del protagonista e di William Petersen, che i fan di CSI conosceranno bene, nella curiosa parte dell'uomo che ha ingaggiato un sicario per ucciderlo prima della fine neanche ci trovassimo in un film di Kaurismaki - ed il contesto, oltre allo spirito da road movie - che sul sottoscritto esercita da sempre un fascino particolare - comportano un risultato finale tutto sommato piacevole, pur se non irresistibile.
Principalmente, nel corso della visione, passando da momenti di profonda malinconia ad altri al limite dell'assurdo - senza contare la storia d'amore che progressivamente vede coinvolti Dodge e Penny -, la cosa più interessante per il sottoscritto è stata quella di immaginare cosa accadrebbe se anche qui dalle nostre parti fosse annunciata la fine del nostro pianeta entro tre settimane: sarebbe una bella fregatura, questo è certo, soprattutto ora che è nato il Fordino, eppure cosa sarebbe del Saloon?
Si affronterebbe l'imminente fine con rassegnata tranquillità e pace zen oppure ci si dedicherebbe a tutto quello che la routine quotidiana tiene a bada?
Cosa fareste, voi, avendo a disposizione soltanto ventun giorni prima di vedere il sipario calare su questo mondo e queste vite?
Vi improvvisereste dei cercatori naif come Penny o il rifugio sarebbe la routine, come per Dodge?
Il pensiero andrebbe all'ingaggio di un killer - e torniamo a William Petersen - o a feste da salotto senza freni - almeno rispetto al contesto sociale comune -?
Esemplare, in questo senso, il party dato da Connie Britton e compari ad inizio pellicola, nel corso del quale i genitori propinano un cocktail dietro l'altro ai figli, si fanno di eroina e si lasciano andare ad ogni qualsiasi piacere pur di provare qualcosa di mai assaporato fino ad allora in vista della fine: e a cosa varrebbero tutte le possibilità elencate, di fronte al fatto di un'imminente distruzione planetaria?
Forse nulla.
Forse Dodge e Penny hanno ragione, a tentare di restare in movimento per capire alla fine che tutto quello che serve è loro accanto, e forse c'è un modo per salvarsi che va oltre l'improvvisazione e l'esagerazione senza criterio. O forse no. E nel momento di uno schianto come quello dell'asteroide che porrà fine alla Terra si sarà tutti uguali, come al cospetto di un gigantesco interruttore che, di colpo, spegnerà la luce.
Ed ecco, improvvisamente, che tutto pare non essere poi così divertente, grottesco, stralunato.
Forse la fine del mondo è una cosa seria.
O forse, più semplicemente, come ogni altra cosa della vita - morte compresa - andrebbe affrontata con lo spirito migliore possibile, tirato fuori con le persone che vorremmo accanto e in una cornice che possa abbracciarci come se esistesse una sicurezza per la quale nessuna fine avrà potere.
Perchè la salvezza potrà essere un'utopia, un sogno da film romantico destinato a non realizzarsi.
Ma non è detto che ci si possa sentire comunque al sicuro.
Perfino dagli asteroidi.
Perfino da noi stessi.


MrFord


"It's the end of the world as we know it 
it's the end of the world as we know it
it's the end of the world as we know it and I feel fine."
R. E. M. - "It's the end of the world as we know it (and I feel fine)" -


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