giovedì 31 maggio 2012

Die hard 3 - Duri a morire

Regia: John McTiernan
Origine: Usa
Anno: 1995
Durata: 131'



La trama (con parole mie):  John McClane, tornato a New York dopo la separazione dalla moglie Holly, sempre in bilico tra una sospensione e l'altra e con una tendenza all'alcolismo decisamente in crescita, viene richiamato in servizio dal suo comandante a seguito di una terrificante esplosione rivendicata da un terrorista di nome Simon, che coinvolge l'inossidabile poliziotto ed il suo involontario compagno di sventure Zeus - un ex tassista di Harlem - in un gioco sempre più rischioso che maschera da attentato un piano articolato per rubare tutto l'oro della Federal Reserve.
Inizierà dunque una sfida a distanza che porterà il poco disciplinato protagonista a scoprire che, in realtà, Simon altri non è che il fratello maggiore di Hans, l'uomo che anni prima proprio McClane uccise al termine dell'attacco al palazzo della società della sua metà.




Il terzo capitolo della saga di Die hard mi ha fatto tornare in mente il periodo in cui, preso solo ed esclusivamente dal Cinema d'autore, vedevo mio fratello completamente assorbito dai botta e risposta tra Bruce Willis e Samuel Jackson - entrambi reduci dal successo di Pulp fiction - criticando la sua eccessiva affezione per quel film tutto esplosioni e situazioni al limite dell'inverosimiglianza: non potevo sbagliarmi di più.
Perchè Die hard è e resta, di fatto, uno dei migliori antidoti per lo stress della quotidianità, nonchè una delle più alte espressioni del Cinema d'azione americano: inoltre, dopo il - leggero - passo falso del secondo capitolo, il ritorno dietro la macchina da presa di John McTiernan segna, di fatto, un nuovo salto in avanti della qualità delle imprese dell'irresistibile John McClane, per l'occasione spalleggiato da uno Zeus Carver che, seppur interpretato da un Samuel Jackson ancora in odore del suo Jules tarantiniano, fornisce al pubblico il miglior compagno d'avventure possibile per l'instabile poliziotto, regalando una serie di battute e provocazioni in pieno stile "da duri" come possono riservare soltanto perle come la serie dedicata ai leggendari Hap e Leonard firmata da Joe Lansdale o i duetti tra Walt e il suo barbiere in Gran Torino.
Certo, non siamo ai livelli di cult assoluto di Trappola di cristallo, eppure tutto funziona, dall'articolato piano di Simon al ritmo vertiginoso dell'intera vicenda - che non patisce neppure un minuto delle due ore piene di durata -, dall'ironia agli effetti speciali da urlo - l'esplosione che apre la pellicola è un pezzo d'antologia nel genere, roba da rimanere a bocca aperta e lasciare la mente correre ad un'altra magia di questo tipo, ma molto successiva: la sequenza dell'attentato in apertura di quel gioiellino che è I figli degli uomini -, dalla tecnica alla mai da sottovalutare capacità di non prendersi troppo sul serio.
Insomma, che siate appassionati oppure no di tamarrate action, resta davvero difficile non affezionarsi ad una saga come questa, capace di superare come se nulla fosse - o come fossero i consueti nemici carne da cannone di turno - le barriere tra uomo e donna, quelle tra Cinema d'autore e blockbusteroni selvaggi e soprattutto del tempo: il fascino di McClane e delle sue avventure, infatti, risulta immutato nonostante siano passati ormai diciassette anni da questo terzo capitolo, tanto da suscitare, al massimo, osservazioni sui cellulari o sulle macchine di allora - oggi risulterebbe difficile compiere certi salti ed atterraggi sulle quattro ruote senza vedersi esplodere l'airbag in pieno viso - mossi da quella bonaria nostalgia di un'epoca che tutti noi abbiamo vissuto e che risulterà "antica" alle prossime generazioni di spettatori - se non già ora -.
Una conferma decisa, dunque, per John McTiernan, che nonostante gli ultimi exploit non proprio esaltanti della sua carriera ed un silenzio che dura ormai dagli inizi degli anni zero si conferma come uno dei più autorevoli riferimenti dell'action fracassona anni ottanta, e per Bruce Willis, fondamentale rappresentante di una tradizione amatissima in casa Ford nata con Sly e Schwarzy e passata grazie anche al suddetto Bruce nelle mani di quello che, attualmente, è il loro definitivo erede: Jason Statham.


MrFord


"Hot town, summer in the city
back of my neck getting dirty and gritty
been down, isn't it a pity
doesn't seem to be a shadow in the city."
The Lovin' Spoonful - "Summer in the city" -



mercoledì 30 maggio 2012

Die hard 2 - 58 minuti per morire

Regia: Renny Harlin
Origine: Usa
Anno: 1990
Durata: 124'



La trama (con parole mie): Trasferitosi a Los Angeles, l'ora tenente John McClane si trova a Washington per trascorrere il Natale con la famiglia, cercando di sciropparsi i suoceri in attesa dell'arrivo della moglie.
Ma proprio nel giorno in cui Holly, libera dai suoi incarichi dirigenziali, è in arrivo dalla costa Ovest, un gruppo di ex militari divenuti terroristi decide di assaltare l'aeroporto della capitale Usa in modo da dirottare il volo sul quale viaggia, prigioniero, un dittatore centroamericano leader del traffico mondiale di droga.
Professionali e sicuri, gli uomini dell'ex colonnello Stuart paiono avere la strada spianata verso il successo della loro impresa: peccato che John McClane sia pronto a rovinare loro le Feste.




E così, anche la serie Die hard con protagonista l'inossidabile John McClane cede alla comune opinione che vede il sequel mai all'altezza dell'originale.
Certamente, avendo sempre e soltanto visto e rivisto il primo capitolo, il fatto di approcciare solo ora 58 minuti per morire ha di per sè minato la credibilità dello stesso ai miei occhi di spettatore, ben lontano dal gusto e dal fascino che avrebbe esercitato sul sottoscritto in quei primi anni novanta che furono in casa Ford una sorta di unica, grande avventura action ininterrotta - o quasi, dato che d'estate veniva sempre il momento degli horror -.
Il fatto è che nonostante il sempre in spolvero McClane, una schiera di villains in pieno stile trash interpretati da caratteristi che avrebbero conosciuto la loro fortuna negli anni successivi - da Le ali della libertà a Terminator 2, passando per Sorvegliato speciale - e la consueta dose di adrenalina ed esplosioni di vario genere, tutto appare come una versione molto sbiadita di Trappola di cristallo, lontanissima dal suo carico di ritmo e, benchè divertente, priva della stessa irriverente ironia: certo, i momenti cult non mancano - dalla lotta sull'ala dell'aereo in pieno decollo alla celeberrima frase "lei è l'uomo, nel posto sbagliato e nel momento sbagliato" cui il protagonista risponde "è la storia della mia vita" -, eppure tutto pare limitarsi al consueto film da zero neuroni, birra e patatine tipico delle serate tra amici senza alcun impegno spesso accompagnate da sonore sbronze selvagge.
L'assenza di McTiernan in cabina di regia, in questo senso, si fa sentire eccome, anche perchè il suo posto è occupato dal mestierante da b-movies Renny Harlin, regista di cult totali come Cliffhanger ma anche di schifezze abominevoli come The covenant, uno dei film più brutti che abbia visto negli ultimi anni: il carattere dell'uomo dietro la macchina da presa del primo capitolo è qualcosa che Harlin non avrà mai neppure per miracolo, un pò come se ci mettessimo a sindacare su chi è più duro tra Bruce Willis nei panni di John McClane e il mio antagonista Cannibale nei panni del Piccolo Cucciolo Eroico.
Peccato dunque soprattutto perchè, nonostante una trama molto, molto simile a quella di Trappola di cristallo, le basi per avere un nuovo potenziale supercult di genere c'erano tutte, e 58 minuti per morire rappresenta, di fatto, una delle più grosse delusioni in termini di tamarrate che mi sia capitato di avere, nonostante la stessa fosse impreziosita da un protagonista tra i migliori che l'action possa offrire e da uno spirito che, con gli anni zero, risulta smarrito nell'oceano dell'ego di attori, registi e produttori convinti anche nei casi peggiori di lavorare a potenziali Capolavori - un esempio su tutti, Will Smith e l'indegno Io sono leggenda, giusto perchè mi è capitato di incrociarlo in tv per caso in questi giorni -.
Restano comunque impresse le immagini dello scontro sui nastri trasportatori dei bagagli ad inizio pellicola, il nostrano Franco Nero nei panni del cattivissimo boss della droga e l'ottima gestione - pur se in parte telefonata - del ruolo della squadra speciale inviata dall'Esercito: il guaio principale è che, molto semplicemente, il primo della serie è talmente grande da sminuire ogni tentativo successivo.
Staremo a vedere se, con il ritorno di McTiernan al timone e l'arrivo di Samuel Jackson come spalla, la musica cambierà e John McClane tornerà a dettare standard elevatissimi di una fetta di Cinema che, nonostante tutto, non smetterò mai di difendere.


MrFord



"My life is like a highlight reel
some might conisder this my twilight but depending how I might feel
I might continue on with my career for 5 light years
critics can fly kites here?"
Dr. Dre - "Die hard" -



martedì 29 maggio 2012

Die hard - Trappola di cristallo

Regia: John McTiernan
Origine: Usa
Anno: 1988
Durata: 131'



La trama (con parole mie): John McClane è un poliziotto di New York fresco di separazione giunto a Los Angeles la vigilia di Natale per tentare di ricongiungersi con la moglie, donna in carriera presso una società giapponese. Quello che l'uomo non sa è che ad attenderlo al party dell'azienda stessa, oltre alla moglie e i suoi colleghi, c'è un commando di ladri professionisti celati dietro la maschera dei terroristi pronto a seminare il caos per trafugare più di seicento milioni di dollari di azioni della compagnia.
Quello che il commando non sa è di avere di fronte un uomo deciso, coriaceo, tutto d'un pezzo e con la battuta pronta che pare non avere altra scelta se non battersi con loro per cercare di sventare il colpo, salvare gli ostaggi e, chissà, tornare anche a casa con la sua metà.




Iniziamo subito con il botto: Die hard - Trappola di cristallo è un cultissimo con i controcazzi che fumano.
Uno dei vertici assoluti del Cinema action anni ottanta nonchè della carriera di John McTiernan - in quegli anni in grande spolvero, si ricordi Predator -, anche a distanza di ormai quasi un quarto di secolo non ha perso nulla del suo antico splendore, e grazie ad un mix pressochè perfetto di ironia, tamarraggine, imprese impossibili e sparatorie improbabili consegna al pubblico uno dei più inossidabili action heroes della Storia del Cinema: John McClane, una delle incarnazioni più fortunate di Bruce Willis - che ho scoperto proprio nel corso di quest'ultima visione aver girato questo film più o meno alla mia età, nonostante sembrasse di almeno dieci anni più vecchio -.
Primo di una fortunatissima serie di quattro, Trappola di cristallo riuscì, in un decennio in cui spesso e volentieri la qualità non fece il paio con il Cinema d'azione, a prendere il modello esportato dal John Woo di Hard boiled applicandolo al gusto larger than life tutto made in Usa, confezionando un giocattolone divertente e divertito in grado di appassionare - grazie ad un ritmo invidiabile ed una costante tensione stemperata con incredibile equilibrio dalle battute a raffica del protagonista - anche i non avvezzi al genere.
Per quanto, infatti, il sottoscritto sia un difensore strenuo ed un amante delle tamarrate del periodo portate sul grande schermo da mostri sacri come Stallone, Schwarzenegger e Van Damme, continuo in qualche modo a capire i detrattori delle loro più importanti perle, mentre sfido chiunque - anche il più radical chic tra i radical chic - a prendere una posizione di sufficienza rispetto a Die hard, una chicca anche registica come raramente capita di trovare nel mercato a grana grossa dei blockbusteroni.
Come se la regia stessa ed il ritmo non bastassero, poi, in campo troviamo una squadra di "cattivi" da manuale per il periodo - tutti europei con trascorsi da Est pre caduta del Muro di Berlino - rappresentati alla grandissima da un Alan Rickman - che i più giovani ricorderanno come il Piton di Harry Potter, e i meno giovani come lo sceriffo di Nottingham nel Robin Hood interpretato da Kevin Costner - in grande spolvero, comprimari d'eccezione - dall'esilarante autista di Limo alla spalla Al Powell, più noto al grande pubblico nel ruolo del padre di Otto sotto un tetto - e poi di nuovo lui, John McClane.
Spesso, quando mi capita di leggere un romanzo - o una serie di romanzi -, mi trovo a ripetere e sottolineare che quando un autore azzecca il giusto protagonista, la saga non può che trasformarsi in un successo assicurato e duraturo: con Die hard accade lo stesso.
Dai piedi nudi alle sigarette, dal "hippy hay hoo, pezzo di merda!" ai dialoghi con il succitato Powell, McClane non perde smalto neppure un minuto, perfino quando si concede parentesi più serie: lui è l'emblema di una neppure troppo sottile critica alla gestione del potere da parte di molti membri delle forze dell'ordine - non è un caso che il comandante locale e i due agenti dell'FBI inviati sul posto siano emeriti imbecilli - e alla preferenza, nell'assegnazione dei ruoli, alla politica più che all'abilità sul campo.
Ed un protagonista così, un pò cowboy e un pò ribelle, un pò cazzone e un pò eroe, simbolo ed ispirazione per generazioni di suoi epigoni negli anni a venire - non ultimo il Nathan Hunt di Mission impossible - non poteva che essere un vero e proprio idolo fordiano.
Senza contare che Die hard è davvero, davvero un signor film.
E se qualcuno prova a dire il contrario, si prepari a ricevere la visita del signor McClane.
Cui sarò lieto di donare due bottiglie nuove nuove pronte per l'occasione.


MrFord


"When it comes to fighting
trying to play it rough
I will take you twenty rounds
I'm just too tough, too tough
too tough, too tough."
The Rolling Stones - "Too tough" -


lunedì 28 maggio 2012

Cannes 2012


La trama (con parole mie): come ormai tutti saprete, si è concluso il sessantacinquesimo Festival di Cannes, che ha visto sfilare alla Croisette il fior fiore del Cinema autoriale - e non - del mondo, confermando questo appuntamento come il più importante dell'anno per gli appassionati e gli addetti ai lavori.
Le proposte erano anche a questo giro decisamente interessanti, anche se pare che la giuria presieduta da Nanni Moretti non abbia avuto praticamente dubbi sul vincitore.
In attesa di avere l'occasione di vedere nelle nostre sale la selezione del Festival, ecco l'elenco dei premi e giusto un paio di punti di vista made in saloon.



Palma d'Oro
Amour di Michael Haneke


Per la seconda volta negli ultimi cinque anni trionfa il chirurgico regista austriaco bissando il trionfo del magnifico Il nastro bianco.
Personalmente ho sempre considerato Haneke uno dei grandi Maestri del Cinema europeo attuale, quindi non posso che essere soddisfatto, anche se una punta in più di coraggio da parte della giuria non mi avrebbe fatto poi tanto schifo. Comunque, le aspettative rispetto a questo Amour sono alte. Molto alte.
Grand Prix
Reality di Matteo Garrone


La nuova fatica del regista di Gomorra non è ovviamente ancora passata sugli schermi di casa Ford, eppure questo premio mi sa tanto di marchettone selvaggio concesso al Presidente di giuria Moretti, che, come in ogni Festival che si rispetti, avrà imposto le sue scelte - o assecondato quelle degli altri giurati - a determinate condizioni.
Premio per la regia
Carlos Reygadas per Post tenebras lux


Premio che mi lascia abbastanza indifferente.
Non conosco a fondo Reygadas, dunque attenderò la visione prima di pronunciarmi in proposito.

Premio della Giuria
The angels' share di Ken Loach


Personalmente ho sempre avuto una particolare simpatia per Loach ed il suo Cinema "operaio".
Il vecchio Ken è uno che tiene i cavalli, un fordiano ad honorem, e le sue storie - su tutte la mia preferita, My name is Joe - riescono sempre a toccarmi.
Eppure ho ancora negli occhi la Palma regalata per il suo peggior film, Il vento che accarezza l'erba, e quindi storco un pò il naso a priori rispetto a questo nuovo successo: anche in questo caso, attenderò la visione. E non senza pregiudizi.

Premio per l'interpretazione maschile
Mads Mikkelsen in The hunt di Thomas Vinterberg


Non ho mai sopportato Vinterberg, ma un premio al mitico Mads Mikkelsen io non lo rifiuto mai.
Non fosse altro che per Le mele di Adamo o Valhalla rising.

Premio per l'interpretazione femminile
Cosmina Stratan e Cristina Flutur in Beyond the hills di Cristian Mungiu 


Mungiu era uno degli autori che aspettavo maggiormente, considerato lo splendido Quattro mesi, tre settimane, due giorni che ancora è una ferita aperta nel mio cuore di spettatore.
Ancora una volta il regista romeno esalta le sue protagoniste, facendo salire la mia curiosità rispetto a questo suo nuovo lavoro alle stelle.

Premio per la sceneggiatura Cristian Mungiu per Beyond the hills


Come sopra. Felicissimo per Mungiu. In attesa di buttarmi in questa visione.

 

CORTOMETRAGGI

Palma d'Oro
SESSIZ-BE DENG (Silence) di Rezan Yesilbas


UN CERTAIN REGARD
 

DESPUES DE LUCIA di Michel Franco


CAMERA D'OR
 

BEASTS OF THE SOUTHERN WILDER di Benh Zeitlin 

Chiudo con un trailer segnalato anche dal mio antagonista Cannibale, legato al nuovo lavoro di Paul Thomas Anderson, The Master, che promette di fare davvero scintille, in uscita il prossimo autunno negli Usa.



Carne al fuoco ce ne sarà, e tanta.
Speriamo solo che la distribuzione italiana se ne accorga.

MrFord 

Bellflower

Regia: Evan Glodell
Origine: Usa
Anno: 2011
Durata: 106'




La trama (con parole mie): Aiden e Woodrow sono amici da una vita, appassionati di Mad Max e pronti ad affrontare l'apocalisse post-atomica del personaggio reso noto da Mel Gibson a suon di lanciafiamme, auto modificate che sputano fuoco e distillano whisky ed una robusta dose di ironia.
Dal Wisconsin si trasferiscono in California, dove una notte conoscono in un locale Milly, una ragazza decisamente rock in giro con alcune amiche che da subito mostra una certa simpatia per Woodrow: al primo appuntamento i due viaggiano in macchina fino in Texas, ed inizia tra loro una storia che sconvolge gli equilibri e le amicizie.
Quando giungerà il momento della rottura, per il ragazzo si apriranno scenari decisamente più apocalittici di quelli presentati dal suo film preferito, e verranno messe in discussione tutte le sue relazioni, dal sogno alla realtà. Tornare in piedi non sarà affatto facile.




Ringrazio il buon Vincent per la sua segnalazione di questo titolo.


A volte si incontrano film che sono come quelle storie in cui tutto è sbagliato: c'è sempre qualcosa che non funziona, si litiga di continuo, si tira fuori il peggio da una parte e dall'altra.
Eppure l'attrazione - fisica o mentale che sia - tiene inesorabilmente legati, impedendo di recidere un legame senza dubbio dannoso: a volte è la chimica, a volte gli interessi, a volte il modo di approcciare il mondo, il più delle volte il sesso.
Bellflower è come una di quelle storie.
Un film sconnesso, rozzo, spigoloso, costruito, che ha il potere di irritare e colpire spesso e volentieri quando meno te lo aspetti, eppure clamorosamente cool, funzionale, potente, genuino e, di fatto, veicolo di una sbronza che pare un trip di un'ora e quarantacinque vissuto con il piede premuto sull'acceleratore anche quando pare di stare schiantati al sole come una lucertola in hangover.
Tutto quello che avevo scoperto sorprendente ed interessante nel Kaboom di Gregg Araki è portato ad un livello superiore, creando un cocktail che deve certamente più di qualche citazione alla saga di Mad Max - che ora mi ritrovo con una voglia pazzesca di rivedere - e che diviene una vera e propria bomba ad orologeria grazie ad evidenti influenze di cult degli anni passati come Fight club o Cuore selvaggio spolverati con un bel pò dell'estetica grindhouse che dai tempi di A prova di morte, Planet Terror e La casa del diavolo ha conosciuto una sorta di seconda giovinezza.
Il giovane regista Evan Glodell - autore della sceneggiatura nonchè protagonista nel ruolo di Woodrow -, dimostra di avere talento se non altro nel mescolare elementi che non sono farina del suo sacco riuscendo nell'impresa di farli apparire rivisitati secondo una sua mitologia personale - geniali i continui riferimenti a Lord Humungus -, senza dimenticare quanto l'ironia torni utile in casi come questo, in cui la spocchiosità da presunto artista è in agguato dietro ogni singolo fotogramma.
L'aspetto più interessante, comunque, del suo lavoro, resta l'approccio totalmente grottesco e da "paura e delirio" rispetto a quello che è il motore del film: la decostruzione di una storia d'amore, con i suoi colpi bassi e quei momenti in cui pare di toccare il cielo con un dito - e non solo con quello -, il sesso e le ferite - dentro e fuori - che restano a farci compagnia ben oltre i limiti del rapporto, le amicizie ed i tradimenti, i se e i ma che ci si incollano addosso sul terreno minato per eccellenza dell'emotività.
Neanche fossimo a bordo della spettacolare Medusa assemblata dai due inseparabili amici - ho trovato magnifico il legame tra i due protagonisti, simbiotico eppure mai oppressivo, costruito sulla presenza costante eppure completamente scombinato - assistiamo con la rottura tra Woodrow e Milly ad un vero e proprio cambio di marcia della pellicola, che ci sbatte contro i sedili e prende a sputare fuoco e fiamme dai tubi di scappamento, proiettandoci nel pieno di un viaggio allucinato e violento, sconnesso e totalmente istintivo ma progressivamente sempre più lucido, in uno dei crescendo conclusivi migliori che il genere sentimentale mi abbia riservato negli ultimi mesi.
Perchè una storia capace di sconvolgerci la vita è quasi sempre un'illusione che la stessa possa cambiare grazie a lei?
Giochiamo ad illuderci chiudendo gli occhi a tutto quello che ci sta intorno - prime tra tutti le persone che tengono davvero a noi - convinti che la lotta non potrà che farci del bene, e portare a qualcosa di più grande: quante cazzate combiniamo quando crediamo sia amore.
Woodrow le prova sulla pelle, una dopo l'altra, in una spirale che pare senza ritorno, e come un elastico lo porta avanti e indietro su un'ascensore sconnessa che pare il più fulminato degli ottovolanti da luna park uscito da una specie di horror emozionale figlio degli ultimi fuochi dei seventies selvaggi: e si schianta, come in una vhs riavvolta fino a mangiarne il nastro.
Fino a svegliarsi.
O dormire per sempre.
E trovarsi di fronte alla leggenda di se stesso.
Lord Humungus non può essere sconfitto.
Lord Humungus prende quello che vuole senza chiedere.
Lord Humungus schiaccia quello che non gli sta bene.
Ma Woodrow non è Lord Humungus.
E neppure Mad Max.
Nessuno di noi lo è.
Specialmente quando c'è di mezzo il cuore.
E ancor più quando lo stesso si trasferisce in mezzo alle gambe.


MrFord


"I've got nothing to do, but hang around and get screwed up on you
I've got nothing to do, but hang around and get screwed up on you
your beauty makes me feel alone
I look inside but no one's home
screw that
forget about that
I don't want to think about anything like that."
Therapy? - "Screamager" -


domenica 27 maggio 2012

Punto zero

Regia: Richard C. Sarafian
Origine: Usa
Anno: 1971
Durata: 99'



La trama (con parole mie):  Kowalski è un veterano del Vietnam, ex poliziotto e professionista della velocità cacciato dai circuiti per la sua inclinazione all'alcool che consegna macchine truccate per conto di un'agenzia di Denver.
Quando, alla guida di una Dodge Challenger bianca, decide di arrivare in California in meno di due giorni, comincia di fatto una sfida contro il sistema tutta giocata sulla velocità ed i limiti che la vettura - e lui stesso - possono essere in grado di superare.
Attraverso il Colorado, il Nevada ed il deserto della terribile Death Valley, l'uomo si troverà in bilico tra i ricordi del suo passato, le sirene della polizia al suo inseguimento e la voce di un dj profondamente "soul" che diviene passo passo una sorta di guida spirituale: la sua corsa diverrà, di fatto, una sfida allo status quo made in Usa.




Da tempo ormai quasi immemore sostava al saloon in attesa di una degna visione Punto Zero, procuratomi dal mio fratellino Dembo e fortemente sponsorizzato da Ottimista, due dei frequentatori più importanti di questo crocevia fordiano: finalmente, dunque, sono riuscito ad aggiungere uno dei maggiori cult della generazione di Easy rider e Duel alla lista delle visioni messe in bacheca, e devo ammettere che questo forse meno celebrato lavoro di Sarafian ha tutte le carte in regola per essere omaggiato quanto i suoi due illustri compagni di leggenda.
Partito quasi in sordina nonostante gli strepitosi inseguimenti tra la Dodge Challenger del protagonista e le vetture e le motociclette delle forze dell'ordine ed apparso quasi datato a causa di un montaggio frammentario come nelle più allucinate pellicole ribelli del periodo, il lavoro con protagonista Barry Newman è riuscito ad acquisire sempre più spessore chilometro dopo chilometro e minuto dopo minuto, quasi la visione fosse figlia di un'accelerazione estrema ed inarrestabile, un grido di libertà contro il sistema, il destino e le avversità dalla vitalità e dalla potenza incontenibili, in bilico tra il mito di Jimmy Dean e La locomotiva gucciniana, giocato sulla narrazione di una voce off che mi ha ricordato un altro supercult dei gloriosi seventies, I guerrieri della notte di Walter Hill ed intriso di quella volontà incrollabile che solo i miti paiono riuscire ad avere, impreziosito da un'ellissi che regala nel finale il senso all'insieme dello script.
E proprio di mito si tratta, rispetto al protagonista Kowalski - nome che ormai è una garanzia in casa Ford, considerati Gran Torino e Un tram che si chiama desiderio -: un uomo dalle pochissime parole e dallo sguardo spiritato, lanciato in una corsa solo apparentemente immotivata attraverso gli States, rapito dai ricordi e da incontri surreali e grotteschi che ricordano lo splendido Una storia vera di Lynch.
Punto Zero è un road movie spinto dalla volontà non tanto di fuggire, ma di battersi rompendo regole, schemi e restrizioni - in fondo, le polizie dei singoli Stati si fermano sempre alla frontiera lasciando che i tutori dell'ordine dell'altra parte del confine raccolgano la patata bollente rappresentata da questo pilota tanto folle -, votato in qualche modo neppure troppo sotterraneo all'autodistruzione - la scommessa con lo spacciatore di Denver - e ad un tempo straordinariamente pulsante, desideroso di trovare un se stesso sempre al massimo, stanco dei compromessi che celano troppe bassezze - i ricordi del passato da poliziotto - e pronto a volare letteralmente avanti a tutti quelli che cercheranno di intralciare il suo incredibile viaggio - l'automobilista spocchioso al volante di un'automobile da corsa -.
Da questo punto di vista è impossibile non rimanere a bocca aperta di fronte alle splendide riprese dei duelli tra le vetture, in grado di ricordarmi le meraviglie di Blues Brothers e Ronin, punti di riferimento del genere ancora oggi oltre ai già citati Easy rider e Duel: la Dodge di Kowalski, come i cavalli selvaggi degli eroi del western, vibra sulle note lanciate da Super Soul, un personaggio fondamentale nell'ottica di protesta sociale che, nella musica come nei film alternativi come questo fu a dir poco necessaria per porre le basi di un progresso sociale per cui ancora oggi si continua a lottare - e si dovrebbe fare in misura anche maggiore -.
Così come le motociclette portate da Dennis Hopper e Peter Fonda, la Challenger con Barry Newman al posto di guida diviene un simbolo in grado di andare oltre lo spazio e il tempo, così come alla pellicola di cui è di fatto co-protagonista per diventare un anelito di libertà da manuale per gli anni ruggenti.
Perchè non ci sono convenzioni, ricordi, impieghi o leggi dalle quali, almeno una volta nella vita, non vorremo trascendere, fuggendo per andare il più lontano possibile e poi, quando le stesse meno se lo aspettano, tornare con bel drift quasi disegnato sui nostri passi, schiacciare il pedale a tavoletta e correre loro incontro, pronti ad abbattere ogni muro e superare ogni confine.
In quei momenti, ed ogni volta che troviamo il coraggio di accelerare, Kowalski è con noi.
E scopriamo di aver trovato il Punto Zero delle nostre lotte.


MrFord


"Living easy
loving free
season ticket for a one way ride
asking nothing
leave me be
takin' everything in my stride
don't need reason
don't need rhyme
ain't nothin' I would rather do
going down
party time
my friends are gonna be there too."
Ac/Dc - "Highway to hell" -


sabato 26 maggio 2012

L'eclisse

Regia: Michelangelo Antonioni
Origine: Italia
Anno: 1962
Durata: 125'



La trama (con parole mie):  Vittoria, una giovane e benestante donna annoiata della borghesia romana, chiude la storia ormai logora con Riccardo, e fantasticando di viaggi in paesi lontani, confrontandosi con una madre troppo impegnata a giocare in borsa e cercando una risposta alla sua solitudine interiore si ritrova a tentare di nuovo la via dell'amore con l'affascinante Piero, squalo da mercato azionario sicuro, deciso e pieno di vita.
Ma anche questa nuova possibilità pare naufragare inesorabilmente sotto i colpi di una progressiva oscurazione dei sentimenti, che induce ogni essere umano ad isolarsi inesorabilmente dagli altri, divenendo di fatto spettatore della vita.




Personalmente, non ho mai avuto un rapporto idilliaco con Antonioni.
Ricordo che il primo film del regista di Ferrara che vidi fu Blow up, celebratissimo spesso e volentieri, premiato a Cannes e visto da generazioni intere come un cult: già ai tempi in cui, praticamente, mi cimentavo soltanto in visioni autoriali, mi parve una pellicola forzata, vuota, clamorosamente troppo radical chic pur attraversando io stesso un periodo di - purtroppo - radicalchicchismo cinematografico.
Sono passati anni, e Antonioni è riuscito anche - in poche occasioni, sia chiaro, come per l'ottimo Professione: reporter - a farsi rivalutare, eppure non sono mai riuscito a superare completamente quel vecchio trauma.
A gettare sale su una ferita che pensavo praticamente rimarginata ci ha pensato il Cannibale, propinandomi nella sua lista per la nostra ultima Blog War L'eclisse, un film che mi ha lavorato ai fianchi e al viso neanche fosse Apollo Creed nei suoi due epici incontri con Rocky Balboa: dal primo all'ultimo minuto di questa estenuante visione ho pensato a quanto l'opera in questione di Antonioni fosse legata al Capolavoro felliniano La dolce vita, fotografia di un'epoca ormai lontana, magica e clamorosamente terrena, sacra e profana.
Peccato che, se il lavoro del Maestro riminese assume le connotazioni di un vero e proprio ritratto in grado di oltrepassare i confini del tempo, questo tentativo di Antonioni pare più la versione salottiera e - lo dico con il massimo disgusto possibile - radical chic della stessa, tanto poco sopportabile quanto inesorabilmente datata rispetto ad una visione nel pieno degli anni zero.
L'alternanza di silenzi e risposte evasive e poco sensate di Vittoria - uno dei protagonisti femminili più irritanti che abbia mai affrontato nella mia carriera di spettatore - riesce ad annullare non solo la vitalità di Piero - un ottimo Alain Delon -, ma anche la verve registica dello stesso Antonioni, che pare ipnotizzato dal suo personaggio e dalla Vitti finendo per sacrificare sull'altare di momenti agghiaccianti come il ritrovo notturno sognando l'Africa che mi ha ricordato una versione ante litteram - e spocchiosa - delle odierne Desperate housewives la sua impareggiabile tecnica, che in altri lavori - il già citato Professione: reporter - sopperiva ad una mancanza cronica nella sostanza dei suoi script.
Certo, tutto è realizzato in modo da rappresentare l'incomunicabilità che porta alla fine dei rapporti di coppia, e sicuramente chi viene da una formazione universitaria all'interno della quale avrà trovato un poco simpatico - ma carismatico - professore di Cinema pronto a vendere anche l'anima per questo film lo adorerà, ma per un autodidatta da saloon come il sottoscritto quello di Antonioni pare un manierismo vuoto ed irritante, che più che rappresentare, per l'appunto, l'incomunicabilità, fa della stessa una bandiera del suo modo di intendere il Cinema, nonostante i tentativi simbolici - soprattutto con l'apertura e la chiusura - vorrebbero lasciare intendere numerose strizzatine d'occhio ai veri Maestri del grottesco come Bunuel e Jodorowskij, lontani anni luce da questi esercizi di stile tanto vecchi quanto pacchiani.
Una visione faticosa e un pò ammuffita, per quanto certamente superiore a gran parte delle schifezze nostrane che intasano le sale oggi, uscita decisamente sconfitta dagli anni che passano e buona più per una lezione di Cinema da raduno di pseudo-intellettuali che non come simbolo per quella che, a conti fatti, è stata la migliore stagione della settima arte italiana.


MrFord


"Le nuvole e la luna
ispirano gli amanti
sì, ma per tanti,
compreso me,
è ti - p - i - o - logico
il vero amore
è zo - o - ologico
fin dentro il cuor."
Mina - "Eclisse twist" -


 

venerdì 25 maggio 2012

Last friday night

La trama (con parole mie): archiviata una settimana di uscite insolitamente ottime, era inevitabile riscontrare un calo di qualità a questo giro, un pò come quando si passa dalla lettura di White Russian a quella di Pensieri Cannibali.
Ma non disperate: tra le baracconate e le consuete ciofeche italiane, qualche titolo da salvare si potrà trovare in sala anche questo weekend, complici il Festival di Cannes e qualche interessante proposta autoriale.
Ed ecco, come di consueto, serviti su un piatto d'argento i consigli per la visione del sottoscritto e di quello scellerato del Cucciolo Eroico.


"Vecchio Ford, sono stanco!" "Ma che dici, piccolo Cannibale!? Dovresti essere tu a guidare la spedizione verso il Cinema! Così non arriviamo in tempo neppure per l'ultimo spettacolo!"

 
Men in black 3 di Barry Sonnenfeld


Il consiglio di Ford: di Man in black ce n'è uno e uno soltanto, in casa Ford. E non è il Cannibale.
Il primo della serie non mi era affatto dispiaciuto, mentre il secondo l'avevo perso senza troppi patemi. Difficilmente mi cimenterò nel terzo, anche se, in mancanza d'altro per una serata a neuroni zero potrebbe anche starci. Il fatto è che avendo a che fare con un alieno proveniente dalla galassia dei Cuccioli Eroici ogni settimana, non è che abbia così tanta voglia di vederne altri anche sul grande schermo.
Il consiglio di Cannibal: merd in black
No, vabbè, ma basta.
Sia Ford, che i Men in Black.
Fuori moda, fuori tempo massimo, fuori di testa.
Già il primo film era molto modesto, una versione fantascientifica sfigata dei Ghostbusters, il secondo era terribile e questo terzo si preannuncia come uno dei sequel meno necessari nella storia. Materia buona giusto per una gustosa recensione massacro.
A questo punto, quasi quasi un WhiteRussian potrebbe essere meglio dei Men in Black.
Intendo quello da bere, WhiteRussian il blog invece mi sparaflasho pur di dimenticarmi della sua esistenza!

"Che dici, Will, lo facciamo fuori, il Cannibale!?" "No, sto pensando di farlo scritturare per il prossimo film di Muccino."
Molto forte, incredibilmente vicino di Stephen Daldry


Il consiglio di Ford: molto forti ed incredibilmente vicine sono le bottigliate che sono pronto a rifilare al mio antagonista.
Film candidato agli ultimi Academy che resta l'unico a non essere ancora passato sugli schermi di casa Ford. Il trailer promette qualcosa di molto retorico ed incredibilmente mieloso, quindi lo vedrò sperando di poter liberare una serie di bottigliate da antologia. Più o meno le stesse che riservo per quel poco di buono del Cannibale e il giorno del nostro primo incontro "live".
Il consiglio di Cannibal: molto ford, incredibilmente palloso
Film già visto, uno dei peggiori candidati all’Oscar di quest’anno e forse di sempre, War Horse escluso.
È esattamente il film post-11 settembre carico di retorica che uno può aspettarsi. Non inguardabile come i film consigliati da Ford di solito, però una visione che mi ha lasciato alquanto perplesso. In giro si sentono anche pareri positivi, io personalmente lo sconsiglio. Così come sconsiglio il blog WhiteRussian. Poi, ognuno è libero di fare quello che vuole. Io spero solo di non ritrovarmi mai incredibilmente vicino a Ford uahahah.
A breve la mia recensione…

"Cannibale, ai miei tempi con le ragazze ci si provava, non ci si dava allo stalking!"
Operazione vacanze di Claudio Fragasso


Il consiglio di Ford: operazione evitiamo di andare in sala a vedere certa robaccia.
Ed eccoci pronti per il primo dei cinepanettoni made in Terra dei cachi dell'anno, una cosa che già promette di farci rimpiangere i tempi del Calà del villaggio vacanze di Italia Uno nel pieno degli anni ottanta in quanto a trash. Inutile dire che lo eviterò come la peste.
Il consiglio di Cannibal: operazione vaccanze
Film super trash della settimana, dell’estate e forse dell’anno. Si preannuncia una porcheria di proporzioni fantasmagoriche, ma che dico fantasmagoriche?, dico di peggio, dico di proporzioni fordiane.
Nonostante questo, Jerry Calà mi sta simpatico e quindi non ho intenzione di dire cattiverie sul suo conto. Quelle le riservo solo a Mr. James Flop.
Dopo tutto, questo film sarà mica peggio dei merd in black 3?

"Ragazzi, questo mi pare proprio un film fatto alla cazzo di cane: un pò come il blog Pensieri Cannibali!"
Cosmopolis di David Cronenberg


Il consiglio di Ford: la città del futuro è quella senza il Cannibale.
Consiglio fordiano numero uno della settimana. Archiviato il mezzo scivolone di A dangerous method, attendo con ansia che Cronenberg, uno dei registi più importanti degli ultimi vent'anni, torni a stupirmi
con la trasposizione di uno dei romanzi cult della letteratura recente.
Unico dubbio, Robert "vampirello" Pattinson. Speriamo che il tocco del Maestro possa far apparire credibile perfino lui.
Il consiglio di Cannibal: David Cronenberg, ripigliati prima che cominci a chiamarti David Fordenberg!
Uno dei romanzi cult della letteratura recente???
Sto leggendo Cosmopolis e, per carità Don DeLillo scrive bene, ma è un romanzo del tutto vuoto. È come leggere un Ellis totalmente privo di ironia, cultura pop e ispirazione. Magari come libro ci mette un po’ a carburare, ma se continua così dubito persino che riuscirò ad arrivare alla fine.
Cronenberg, dopo quella porcheria totale di A Dangerous Method, altroché mezzo scivolone, rischia quindi molto. I dialoghi nel romanzo sono al limite del grottesco per non dire del ridicolo e in bocca a Robert Pattinson non so cosa potrebbe uscirne. D’altro canto, a livello visivo Cosmopolis si preannuncia una bella visione e il trailer è molto promettente.
Da un brutto romanzo, ne uscirà un bel film?
Se leggete Ford scrivere una volta a settimana - grazie a Dio non di più - su Pensieri Cannibali, tutto è davvero possibile!

"Ford, per favore, non tagliarli troppo: già così non riesco a trovare una ragazza neanche pregando, se poi ti ci metti anche tu non ho più speranze!"
Silent souls di Aleksei Fedorchenko


Il consiglio di Ford: bentornata, Russia.
Consiglio fordiano numero due della settimana. Il rischio di un polpettone molto, molto autoriale c'è tutto, eppure le premesse mi hanno riportato alla mente lo splendido Il ritorno che vinse a sorpresa a Venezia qualche anno fa. Un road movie in territori sconfinati che pare più un viaggio filosofico di quelli che il
Cannibale sarà già pronto a bollare come una noia mortale. Un valido motivo, dunque, per correre a vederlo prima che lo tolgano dalle sale.
Il consiglio di Cannibal: silence please, Ford!
C’è da correre sì. Lontani dalle sale che hanno il coraggio di proiettare questo (probabile) mattonazzo russo.
Roba che ci sarebbe da andare a vederlo soltanto per divertirsi a lanciare i popcorn in testa al solo spettatore presente.
Chi?
Sapete già la risposta…
Lo Zar (nonché abitante unico) dell’impero fordiano.

"Non gli bastava fare come Del Piero: che ci farà mai il Cannibale con due uccellini!?!?"
La fuga di Martha di T. Sean Durkin


Il consiglio di Ford: fuggite sempre dal Cannibale
Film rischioso, questo. Anche più di Silent souls. Da una parte, c'è la possibilità che si tratti di un esordio di quelli da tenere d'occhio, dall'altra il timore che possa rivelarsi un ottimo bersaglio per le ormai note bottigliate del sottoscritto. Non saprei come catalogarlo esattamente, quindi direi che aspetterò il
giudizio del mio antagonista, e se sarà bravo e farà i compiti a casa stroncandolo, allora correrò a recuperarlo, perchè in quel caso ci sono ottime probabilità che si tratti di un piccolo cult.
Il consiglio di Cannibal: un film da cui sicuramente non fuggire
Questo film promette bene, molto bene. A scatola chiusa, direi il consiglio Cannibale della settimana.
Non avendolo ancora visto, può anche darsi che mi sbagli. Capita molto di rado, ma anche io sbaglio, certe volte. In un paio di occasioni ad esempio ho dato ragione a Ford. E in quei casi sì, lo ammetto: mi sbagliavo.
Mai dare ragione a Mr. James Wrong. Finirete per pentirvene.

"Perfetto, direi che ora sai sparare: la prossima volta che il Cannibale si nasconde per scattarti delle foto, centralo in mezzo all'obiettivo!"
Dietro il buio di Giorgio Pressburger


Il consiglio di Ford: non so se è anche dietro, ma il Cannibale di sicuro sta dentro il buio.
Film su commissione che mi sa tanto di salottata radical chic delle più odiose. Direi che questa settimana c'è ben altro cui dedicarsi che non questa roba. Piuttosto, preferisco tornare a Trieste e godermi la città, che è una favola. Ma questo me lo risparmio.
Il consiglio di Cannibal: con Pressburger ci si può giusto andare a mangiare un hamburger
Già parecchie uscite questa settimana puzzano di bruciato, e non è per colpa di Ford che ha dimenticato di farsi la doccia, ma il filmone autoriale italiano nooo. Non ce la posso fare.
Quando però vedo un trailer risibile come questo, mi viene quasi voglia di guardare tutto il film perché sono sicuro che ci sarà da ammazzarsi dalle risate.
Ma per il momento mi sa che mi accontenterò di prendere per il culo Ford, il blogger di culto tra i fan del cinema che fa russare, pardon del cinema russo.

"Ammazza che depressione! Lo sapevo che non dovevo vedere tutti quei film consigliati dal Cannibale!"
Fallo per papà di Ciro Ceruti e Ciro Villano


Il consiglio di Ford: fatelo per noi, non andate a vedere questo film.
Secondo film "troppo italiano" della settimana, che ovviamente non prendo neppure in considerazione.
Un pò come le opinioni del mio antagonista rispetto ai suoi presunti "Capolavoroni".
Ahahahahahahaha!
Il consiglio di Cannibal: fallo da rigore
Questo film rischia di essere una brutta entrataccia sul cinema italiano e, forse, mondiale.
C’è Giacomo Rizzo, l’ottimo protagonista de L’amico di famiglia, però qui mi sa che siamo lontani anni luce da Sorrentino e più vicini a Fordino.
E Fordino non è vezzeggiativo, intendo solo sottolineare la piccolezza delle sue opinioni cinematografiche. E non solo quelle, buahahah ahah ahah!


"Ford, Cannibale, vi conviene non prendere troppo per il culo questo film, o sarò costretto a mandarvi a casa un amico di famiglia!"
Bad Habits Stories di Umberto Del Prete, Egidio Ferrara, Giulio Reale, Enrico Tubertini


Il consiglio di Ford: le cattive abitudini sono dure a morire. Pensate a me, che continuo a scrivere con il Cannibale! Ahahahahahah!
L'idea di dare spazio a giovani registi italiani grazie ad un film a episodi non è neanche malvagia, peccato che non ci sia nulla, ma proprio nulla che mi attragga in questo film, se non che il titolo mi ricorda vagamente una canzone degli Offspring che amavo molto qualche anno fa. In una settimana in cui si attenderà il risultato di Cannes ed arriverà in sala Cronenberg, di certo non correrò a cercare una sala
sperduta che programmi questo titolo. Ma sono sempre disposto, giusto per scaldarmi in attesa della prossima Blog War, a correre a gonfiare il Cannibale di bottigliate! Ahahahahah!
Il consiglio di Cannibal: bad habits = bad movie?
Tra le pellicole italiane della settimana è quella che mi ispira più fiducia, ma non è che ci vada molto.
Film a episodi girato da 4 giovani registi diversi, ci sarà almeno un episodio decente?
Così come su WhiteRussian, tra centinaia di post, ce ne sarà almeno uno decente?
In entrambi i casi, non è affatto detto…

"Io ci ho provato, a parlare con quei due: ma uno spara bottigliate, l'altro cazzate, e alla fine mi hanno distrutto!"

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