sabato 19 novembre 2011

Ironclad

Regia: Jonathan English
Origine: Uk/Usa
Anno: 2011
Durata: 121'



La trama (con parole mie): siamo nel pieno dei cosiddetti "secoli bui", nella Gran Bretagna dominata da Giovanni senza terra che, dopo aver firmato la Magna Carta, decide - con tanto di benedizione papale -, di ignorare gli accordi con popolo e nobiltà e tornare alla carica sfruttando un esercito di temibili mercenari danesi assalendo il castello di Rochester, snodo fondamentale per la (ri)conquista strategica del Paese.
Ad ergersi in difesa dell'Inghilterra e della stessa rocca, un manipolo di coraggiosi guidato da Albany - uno dei persecutori principali di Giovanni ai tempi della stesura del contestato documento - e da Marshal, un templare da poco rientrato dalla Terra Santa.



Senza neanche scomodarmi in una serie di facili battute a proposito del regista, della sua - scarsa - abilità e filmografia precedente - stiamo parlando dell'autore di Minotaur, roba da far apparire The barbarians degno della Palma d'oro -, prima di iniziare a parlare di Ironclad vorrei spendere qualche minuto a proposito di uno dei suoi protagonisti, James Purefoy: vincitore ideale e morale del premio come peggiore attore protagonista della scorsa stagione nel ruolo del surrogato di Hugh Jackman nel pessimo Solomon Kane, il nostro ha fatto ricredere anche me rispetto al suo apporto a questa pellicola.
Ammetto infatti di aver sottovalutato - e clamorosamente - le doti di trasformista di Purefoy, che dopo aver assunto le sembianze del volto cinematografico di Wolverine rende omaggio ad uno dei personaggi televisivi e radiofonici più noti nel Bel Paese, ossia portando sullo schermo - e nelle vesti del templare coraggioso - Fabio Volo, il tutto riuscendo in egual misura a rimanere inespressivo al punto tale da candidarsi per la seconda volta consecutiva al prestigioso riconoscimento dal sottoscritto assegnatogli lo scorso anno.
Con un inizio così, ammettetelo: vi aspettavate bottigliate come se piovesse.
Invece Ironclad, pur rimanendo a tutti gli effetti una pellicola senza infamia e senza lode guidata da un regista assolutamente inutile, passa indenne alla prova più terribile del saloon grazie principalmente alla presenza di Giamatti e Cox nel cast - che, insieme, riescono a malapena a controbilanciare il solo Purefoy -, ai richiami visivi legati alla carne e al sangue di Game of thrones e Centurion - senza neanche sognarsi di poterli anche solo vedere da lontano, sia chiaro -, ad uno spirito che ricorda quello del Robin Hood firmato Ridley Scott e soprattutto un plot che riprende l'ormai classica vicenda de I sette samurai, con eroi spesso circondati da un alone di mistero, se non addirittura reietti, che si gettano in un'impresa praticamente impossibile dal sapore suicida per scrivere i loro nomi nel grande libro della Storia.
Da questo punto di vista, gli sceneggiatori paiono semplicemente adattare lo script al Capolavoro di Kurosawa riuscendo in questo modo ad accattivare l'audience giocando sul grande fascino che dai tempi dell'affermazione a Venezia del Maestro giapponese questo tipo di vicenda ha esercitato sul pubblico di tutto il mondo, generando anche un remake in chiave western - in quel caso di gran livello - come I magnifici sette, affidandosi all'esperienza dei già citati Cox e Giamatti per evitare che le lacune dietro la macchina da presa risultassero troppo evidenti almeno nelle scene che non prevedevano battaglia: proprio a questo proposito, il montaggio frenetico e scelte decisamente opinabili rendono le parti action tra le peggiori che il genere abbia prodotto di recente, intaccando anche soluzioni interessanti come l'utilizzo di una sorta di "gore da guerra" decisamente efficace e d'impatto - la parte dedicata all'amputazione di mani e piedi dei prigionieri del re è quasi degna di uno slasher movie -. 
Un prodotto che, tutto sommato, pare più televisivo che non cinematografico - e non nel senso buono del termine -, che in altre mani sarebbe potuto diventare certamente un cult in materia fantasy/storica - quelle, ad esempio, dello stesso Scott o, perchè no, di un più alternativo Del Toro o di un selvaggio Marshall - e che finisce per essere una delle tante visioni riempitivo di una stagione cinematografica, incapace di distinguersi anche in negativo: eppure, nelle imprese di Marshal, Albany e compagni troviamo quell'anelito alla lotta, alla ribellione e alla libertà che hanno reso quello che sono pellicole di riferimento come Braveheart o la trilogia de Il signore degli anelli, andando a stimolare in qualsiasi spettatore una sensazione che passa sulla pelle e solletica il cuore, le palle e la base del cranio, permettendo di immedesimarsi, volenti o nolenti, nei protagonisti di queste epiche imprese.
Ovviamente, sempre che non si tratti di James Purefoy.

MrFord

"The sky is turning red
return to power draws near
fall into me, the sky's crimson tears
abolish the rules made of stone."
Slayer - "Reign in blood" -

6 commenti:

  1. in qualche modo mi hai convinto, I sette samurai in chiave medievale non mi può mancare. Poi i cavalieri spada e cavallo sono sempre una figata... peccato per i limiti del regista.

    sulle martellate di Dave Lombardo, recupero il film!

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  2. Vincent, non si tratta di chissacosa, ma di certo è una visione piacevole e tosta come si conviene ad una faccenda di cavalieri, sangue e spade.

    Game of thrones è lontano, ma ce la si può godere comunque.

    E grande Lombardo! ;)

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  3. Cannibale, niente di memorabile, ma un buon intrattenimento da spade e teste mozzate.
    Ci sta tutto, ogni tanto, no!?

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  4. ma perché ce l'hai tanto col povero Hugh Purefoy? non sarà tutto sto talento però in pellicole così secondo me funziona. tanto gli fanno fare sempre quello semi-muto e ombroso!

    "gore da guerra" è bellissimo (sappi che appena ne ho l'occasione te la rubo)

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    Risposte
    1. Frank, non ce l'ho con Purefoy: penso soltanto che sia uno degli attori più inutili del pianeta. ;)

      Usa pure "gore da guerra" quando vuoi!

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