venerdì 31 dicembre 2010

Worst of 2010: movies

C'è il meglio, e c'è il peggio.
Senza troppi preamboli, tra una risata e la voglia di rifilare un numero imprecisato di bottigliate a registi, produttori ed attori, ecco il mio lato b dei film usciti nel corso di questo 2010.

N° 15 - Megamind

Non c'è molto da dire, in fondo ne ho appena parlato.
Non è neppure così terribile da stare fra i peggiori, ma avevo bisogno di un quindicesimo per chiudere la classifica con il numero "tondo".
E il testone blu era perfetto per il ruolo.

N° 14 - Alice in wonderland

Il peggior Tim Burton mai passato sullo schermo.
Noioso, svogliato, mal scritto e malissimo interpretato. 
Una vera sòla.

N° 13 - Cattivissimo me

Il peggior film d'animazione (visto, non uscito) dell'anno.
Talmente inutile da non meritare neppure un posto nobile di questa controclassifica.

N° 12 - Eclipse

Lo ammetto, rispetto a New moon quest'ultimo capitolo della saga twilightiana è sembrato quasi divertente.
Pessimo, ma almeno in qualche modo autoironico.
Attendiamo fiduciosi il quarto.

N° 11 - Solomon Kane

La brutta copia di Hugh Jackman nella brutta copia in stile fantasy di Wolverine - che già faceva proprio cagare -.
Premio come attore più inutile del 2010.

N° 10 - L'ultimo dominatore dell'aria


Il borioso Shyamalan dovrebbe tirare un sospiro di sollievo.
Era talmente orribile E venne il giorno che con questo si è guadagnato soltanto il decimo posto.
Per favore, M. Night, torna a The village.

N° 9 - Scontro tra titani

Per fortuna durava soltanto un'oretta e mezza scarsa.
Come annoiare il pubblico anche con un giocattolone che pare uscito da un brutto incrocio fra Troy e God of war.
E Liam Neeson nei panni di Zeus è l'attore peggio vestito della stagione.

N° 8 - La città verrà distrutta all'alba

Logica poca, tensione zero, regia anonima.
Ovvero: come non girare un horror.

N° 7 - The box

Un buon inizio, poi il nulla.
Conferma assoluta di una delle tesi incrollabili di casa Ford.
Richard Kelly è un pippone galattico - e qui ti voglio, Cannibale! -

N° 6 - Nightmare

Freddy senza battute, moralismi ed attori inutili.
Questo dovrebbe essere lo spauracchio di tutti i teenagers degli anni ottanta!?!?
Come affossare un mito.

N° 5 - Final destination 3D

Talmente scialbo da, nonostante faccia davvero schifo, non meritarsi neppure il podio.
Unico pregio, una durata davvero esigua.
Chiedo pietà, ed una petizione per interrompere la serie.
Un pò come Saw.

N° 4 - The american

Non esistono parole per descrivere l'arida mancanza di idee ed ispirazione di questo film.
Tanto da farmi dubitare di avere scritto così tanto nel post ad esso dedicato.
Più che sonno, coma profondo.

N° 3 - Basilicata coast to coast

Il film italiano peggiore dell'anno. E forse non solo.
Spocchioso, finto alternativo, falso come solo i peggiori radical chic possono essere.
Rocco Papaleo, please, torna alla classe di ferro!
E già che ci sei, portati dietro Max Gazzè, che avrei preso a bottigliate dall'inizio alla fine, altro che mutismo!

N° 2 - Giustizia privata

Mi dispiace per Gerard Butler, che è in testa alla classifica con un doppio colpo, anche se mi sta simpatico e non è il peggior attore dell'anno, ma le pellicole se le è scelte proprio con il culo.
Leonida, cambia agente!
Ad ogni modo, Giustizia privata è un manifesto di logica inesistente, nonchè un profondo insulto all'intelligenza e alla moralità degli spettatori.
Complimenti. Era difficile fare peggio.

N° 1 - Gamer

Niente scappatoie.
Gamer è una vera merda.
Il re è morto. E speriamo che resti tale.

Buon anno a tutti.

MrFord

"Down down down down
it gets me so
down down down down."
Blink 182 - "Down" -

giovedì 30 dicembre 2010

Megamind

Neanche il tempo di godersi le immagini dei migliori film dell'anno e di nuovo vengo travolto dal vortice del fastidiosissimo concetto del "carino" che già aveva pesantemente inciso sulla visione di Cattivissimo me.
Ancora una volta, la Dreamworks da prova di non essere in grado neppure lontanamente di tenere il passo della Pixar e confeziona quella che, a tutti gli effetti, risulta essere una bruttissima copia dello stratosferico Gli incredibili, riuscendo a mettere a nudo tutti i suoi limiti maggiori: un umorismo forzato e quasi mai davvero divertente, personaggi dallo spessore pressochè nullo, una trama che è un susseguirsi di scenette ma che perde consistenza e logica nell'insieme.
Onestamente, nonostante tutta questa serena ed essenzialmente divertita opera di demolizione, non me la sentirei di definire Megamind uno schifo totale ed assoluto, anche perchè se così fosse il suddetto Cattivissimo me, o robaccia come Robots o Kung fu panda sarebbe da considerare praticamente inqualificabile, ma credo sia venuto, per me, il momento di mettere una bella pietra sopra il Cinema d'animazione Dreamworks, promettendo, con il nuovo anno, di operare una "selezione all'ingresso" molto più rigida quando si tratta di prodotti come questo, per evitare la sgradevole sensazione di aver investito del tempo - ed una visione - in qualcosa di sostanzialmente già visto e neppure troppo stimolante.
Detto questo, poi, se in questi giorni di bagordi, tra una cena e un sanissimo hangover avete un'oretta e mezza scarsa da passare spalmati sul divano con il cervello in standby, una cosuccia come Megamind ci sta più che bene, e forse riuscirete anche a trovarvi un paio di momenti da ricordare - la versione padrino/Brando/padre di Superman interpretata dallo stesso Megamind è effettivamente divertente -, capaci di portarvi oltre alla qualità assolutamente non eccelsa dell'insieme e ad un adattamento pessimo - la parlata del protagonista e la sua dizione scorretta sono a dir poco terribili -.
Certo, dal testone blu che pare cattivo ma cattivo non è - e questo si intuisce da subito - con il suo rivale nerd tramutato per sbaglio in superuomo - unica intuizione veramente interessante della pellicola, quella dello sfigato che con i poteri attua una sorta di vendetta alimentata dal desiderio di rivalsa - e l'eroe senza macchia che sogna di fare il cantante - stonato - agli impareggiabili Woody e Buzz corrono anni, e anni, e anni luce: ma anche questo è il Cinema delle feste, in fondo.
C'è solo da sperare che non rimanga troppo indigesto.


MrFord


"I'm blue da ba dee da ba daa
I'm blue da ba dee da ba daa."
Eiffel 65 - "Blue (Da ba dee)" -


 

Best of 2010: movies part 4 (N° 5 - N° 1)

Finalmente ci siamo.
Di seguito troverete i cinque titoli dell'anno per il vecchio Ford.
Trovo difficile sprecare troppe parole per introdurli, innanzitutto perchè si tratta di pellicole incredibili che andrebbero visionate almeno - ALMENO - una volta, e soprattutto perchè preferisco siano loro a parlare, con le immagini, i movimenti di macchina, le colonne sonore e le interpretazioni più emozionanti di questo 2010 di Cinema.

N° 5 - Il profeta

L'altra faccia di Cella 211.
Un'opera di formazione al crimine, un saggio su società ed umanità, un affresco monumentale dalla potenza silenziosa, eppure dirompente.
Meno immediato della sua controparte iberica, si sedimenta nel cuore e torna a bussare senza fretta, riportando alla mente gli occhi del vecchio boss corso o il sangue di una delle uccisioni più efferate viste di recente sul grande schermo. Da far impallidire anche Haneke.

N° 4 - Toy story 3

Anche quest'anno l'incredibile Pixar piazza il suo titolo nella top five, segno indiscutibile della grandezza di questo impareggiabile gruppo di artisti.
Non si parla più di distinzione fra prodotti d'animazione e non, perchè le pellicole di Lasseter e soci, come quelle di Miyazaki, hanno ormai superato da tempo il confine dei "cartoni animati".
Toy story 3 è un film magico e dalla bellezza sconcertante, tecnicamente perfetto ed emozionalmente strabiliante: la crescita e il distacco visti, analizzati ed affrontati dal punto di vista dei giocattoli.
Quasi impossibile, anche per noi "grandi", trattenere almeno una lacrima.

N° 3 - L'uomo che verrà 

Il film italiano dell'anno. E, senza colpo ferire, con Il divo e Vincere, del decennio.
Diritti, con una pietas alla DeAndrè ed una sobrietà così leggera da far apparire quasi invisibile il suo tocco, racconta con una sensibilità visiva capace di ricordare Malick e sociale in stile Loach la strage di Marzabotto, episodio terribile e ferita mai veramente chiusa inferta all'Italia della Resistenza.
Realtà contadina con richiami ad Olmi ed un crescendo finale indimenticabile.
Esiste una sola parola per una pellicola come questa: Capolavoro.

N° 2 - The social network

Così come per Avatar, questo inizio del nuovo millennio sarà simboleggiato, senza ombra di dubbio, anche e soprattutto da questa straordinaria pellicola firmata David Fincher, che trae da una sceneggiatura di ferro una lezione sulla società occidentale da far impallidire qualsiasi saggio da professoroni.
Il fenomeno dei social network come specchio di un disagio che è tutto ed inesorabilmente legato ai rapporti sentimentali. 
Echi di Eyes wide shut e chirurgia registica alla Tutti gli uomini del Presidente: e la gara di canottaggio ed il finale sulla pagina continuamente aggiornata entrano di diritto nell'Olimpo dei cult totali.

N° 1 - Inception

Telefonatissimo primo posto per la titanica impresa di Christopher Nolan, che dopo Il cavaliere oscuro riesce ancora a deliziarci con un mosaico di immagini e giochi di prestigio che è l'ideale proseguimento, per l'appunto, di The prestige.
Una pellicola imperfetta eppure incredibile, capace di sconvolgere ad ogni ritorno della mente alle sue immagini, in grado di rendere reali e solidi i sogni, e di incastrarli come tante scatole cinesi, tutte radicate nel nostro intimo.
Tecnica impareggiabile, nuove frontiere, magia come se piovesse ed un crescendo drammatico legato al protagonista che esplode nella seconda parte e rende il discorso iniziato da Shutter island una sorta di incredibile manifesto sull'amore: senza dimenticare il rapporto tra padri e figli ed il potere di credere in quella apparentemente insignificante clessidra che gira.
Sarà caduta oppure no?
Il vero, unico, ineguagliabile Matrix.
E non solo.
Se dovessi spararla veramente grossa, direi che Inception è il Lost del Cinema.


MrFord


Una menzione speciale meritano, ad ogni modo, cinque titoli che, per motivi di uscita in sala mancata o mia disattenzione non hanno trovato posto nella classifica, ma sono ben felice di inserire qui: Dragon trainer - che avrebbe meritato il posto che è andato a The killer inside me, e che, in assoluto, è il miglior prodotto d'animazione Dreamworks che abbia visto -, Centurion - nuovo capitolo nell'esplorazione del "wilderness" umano di Neil Marshall, il massacratore del grande schermo -, Kickass - come Scott Pilgrim, meglio di Scott Pilgrim, ancora in attesa di vedere la luce in sala qui da noi -, Machete - il lavoro più completo di quel maldito di Robert Rodriguez, presentato a Venezia e ancora senza una data d'uscita - e, per finire, Hereafter di Clint Eastwood, che se non fosse stata fissata la data per il prossimo 5 gennaio avrebbe soffiato, con tutto il cuore, il primo posto ad Inception. 
Ma non temete, probabilmente lo troverete in quella posizione il prossimo anno.
Malick permettendo.

MrFord

"Yeah the grass don't get much greener,
and life can't get no sweeter,
and if the good Lord's willin' I'm a keep on chillin', refillin' and flyin' high."
Kid rock ft. Zac Brown - "Flyin' high" -

Best of 2010: movies part 3 (N° 10 - N° 6)

Ed eccoci giunti al caldo, ovvero nella prima parte della top ten. 
Da questo momento in poi posso considerare i film presenti cult dell'anno - e, in alcuni casi, non solo -, e di sicuro è un piacere consigliarli o pensare di riscoprirli sui miei schermi.

N° 10 - The expendables - I mercenari 

Non poteva non essere a questo punto della classifica. 
Il revival di tutte - o quasi - le star dell'action movie anni ottanta con un pizzico di Jason Statham ad accendere la miccia della tamarrata con livelli di goduria inimmaginabili.
Il tutto con una regia assolutamente non malvagia dell'inossidabile Sly.
Non vedo l'ora di avere il bluray, e ancor di più di vedere l'attesissimo sequel.
Più che mercenari: immortali!

N° 9 - L'uomo nell'ombra

Un Polanski classicissimo eppure di attualità sconcertante, per un film gelido, angosciante, terribile e con un finale che ancora oggi, a distanza di mesi, mi lascia agghiacciato.
Ennesima conferma di un regista che, nonostante le vicissitudini personali, resta una delle voci più interessanti dell'intero panorama mondiale.

N° 8 - Avatar

Non sia mai che io perda un'altra occasione - la terza, in tre post di classifica - per andare a stuzzicare il Cannibale.
Avatar non solo è un grandissimo film d'intrattenimento, emozionante e realizzato in maniera strabiliante, ma anche una macchina di meraviglie capace di far tornare bambini e riscoprire il lato miracoloso del Cinema, lo stesso che aveva reso magica la trilogia de Il signore degli anelli.
Inoltre, senza dubbio, verrà ricordato come uno dei film simbolo di questo inizio degli anni zero.
Al limite, al suddetto Cannibale lascerò la parte dello scenziato che resta in laboratorio senza combattere, perchè non si merita, in questo caso, neppure di interpretare il soldato cattivo.

N° 7 - Vendicami

Che Johnnie To fosse uno dei più tosti in circolazione si sapeva già da tempo, ma che il Michael Mann d'oriente avesse in serbo ancora cartucce come questa è più che un piacere da scoprire.
Tecnica sopraffina, almeno tre scene da scuola del Cinema ed un Johnny Hallyday da rimanere a bocca aperta. Da vedere, e rivedere, e rivedere.

N° 6 - Cella 211

La vera sorpresa dell'anno. Capitata in casa Ford quasi per caso, con aspettative pressochè nulle, Cella 211 si è rivelata come una delle pellicole carcerarie più intense che mi sia capitato di vedere, lasciando ampi spazi, nonostante azione e violenza, alla riflessione sulla natura umana e sul nostro essere inesorabilmente selvaggi.
Un lungo brivido dall'inizio alla fine.

To be continued...

MrFord

"I'm going straight to the top,
oh yeah, up where the air is
fresh and clean."
Tom Waits - "Straight to the top" -

mercoledì 29 dicembre 2010

Best of 2010: movies part 2 (N° 15 - N° 11)

Prosegue la classifica dei migliori film - a discrezione del sottoscritto - passati in sala nel corso degli ultimi dodici mesi: confermo, nonostante l'opinione avversa del Cannibale - che strano, eh!? ;) - nel considerare il 2010 sottotono rispetto all'anno precedente, ma cercherò di fare del mio meglio con la materia che il Cinema è riuscito a fornirmi.

N° 15 - Crazy heart

Jeff Bridges, gli spazi della frontiera americana, un protagonista outsider e tanta, tanta buona musica country: che potrei chiedere di più?
Certo, non sarà il culmine dell'originalità cinematografica, ma è una bella storia, pulita - come direbbe lo Straniero lebowskiano -, e per una volta il loser in questione non finisce male, morto ammazzato o distrutto dagli eccessi.

N° 14 - Soul kitchen

Non sia mai che dia al mio antagonista Cannibale - sempre lui - un solo motivo per criticarmi.
L'ultimo lavoro di Fatih Akin, già dal sottoscritto adorato con La sposa turca e Ai confini del paradiso, è una commedia intelligente e spassosissima, totalmente pane e salame ed arricchita da una colonna sonora strepitosa in grado di rimettere in piedi anche dopo la peggiore delle cadute, grazie ad un ottimismo di fondo in pieno stile Voltaire.

N° 13 - Porco rosso

Tecnicamente, non sarebbe un film del 2010, ed io non lo rivedo da tipo cinquemila anni, ma vogliamo mettere un Miyazaki in spolvero totale, ambientato in Italia e con protagonista un aviatore maiale che combatte i fascisti!?
Bentornato al Cinema, oserei dire! Sei sempre il benvenuto!
Suara, qui c'è tutta nostra materia!

N° 12 - La prima cosa bella

Una delle uscite nostrane più interessanti dell'anno, e senza dubbio il miglior Virzì dai tempi di Ovosodo: ottime interpretazioni - è riuscita a piacermi perfino la Sandrelli! -, azzeccatissima atmosfera ed un pieno di sentimenti mai banali e retorici, che fanno pensare, al contrario, di essere finiti, per caso, nei racconti della vita di un altro che potrebbero però essere anche i nostri.

N° 11 - Scott Pilgrim Vs. The world

Che Wright fosse un potenziale da custodire gelosamente lo si era già capito con L'alba dei morti dementi, e come se non fosse bastato Hot fuzz aveva dissipato tutti i possibili dubbi restanti: con quest'ultimo lavoro, il regista inglese dimostra di essere uno dei talenti più importanti del Cinema oltremanica, nonchè autore di quello che, a tutti gli effetti, può essere considerato il film da nerd perfetto del nuovo millennio.
Una specie di - e qui la sparo parecchio grossa - Ritorno al futuro degli anni zero, anche se Michael Cera non vale neppure l'unghia del mignolo dell'immenso Michael J. Fox.


To be continued...


MrFord


"Straight to the top
it ain't never gonna stop."
Sammy Hagar - "Straight to the top" -

 

Precious

Ammetto, onestamente, di essere spiazzato.
Mi pare quasi che due lati di me stiano combattendo per prendere il sopravvento in queste righe, e trasformare il post in un estremo o nell'altro: da una parte trovo indegni titoli di testa, buchi nella sceneggiatura - scritta davvero con troppa faciloneria -, colpi bassi e tutto il peggio del Cinema americano finto autoriale, dall'altra una storia che commuove senza far versare una lacrima, asciutta e tostissima, che parte da una piccola, sordida realtà di Harlem per trasmettere un messaggio pressochè universale.
Un film imprevedibile, dunque, questo Precious, capace di iniziare lentissimo ed inchiodare allo schermo in un crescendo finale da brividi, per un dialogo che è un confronto che sarebbe piaciuto a Cassavetes e richiama il miglior Montiel di Guida per riconoscere i tuoi santi, ed esplode nella denuncia di realtà troppo spesso taciute proprio perchè estremamente reali, e dunque poco vendibili nell'era del mercato dell'immagine.
Un film che, al contempo, cita a ripetizione Oprah e la cultura dell'ignoranza nella quale sguazzano potenti e prepotenti del mondo, la stessa che porta Precious a chiudersi in un armatura di grasso ed ignoranza per difendersi da una madre terribile e da un padre che non si aspetta altro - ppiù da esseri umani che non da spettatori - di sentire morto, senza che l'assenza dallo schermo dello stesso pesi.
Un'opera rappresentata alla perfezione dalla sua protagonista, enorme e delicata, speranzosa e sfortunata, fantasiosa e pratica, orribile e bellissima: che il regista sia un furbo, intelligente ruffiano è quasi palese, ma occorre ammettere che il lavoro svolto è assolutamente all'altezza dei premi più ambiti, e che se - appare legittimo il dubbio - la fase di scrittura fosse stata più articolata e coraggiosa ci saremmo trovati fra le mani e di fronte agli occhi una bomba di Cinema sociale degna dei migliori Loach e Dardenne.
Tutto per non parlare della performance di Mo'nique, assolutamente strepitosa, e di certo la miglior interpretazione femminile vista dal sottoscritto sul grande schermo quest'anno.
Peccato non aver saputo controllare ogni aspetto di questo sicuramente titanico progetto, che, se filtrato attraverso una sensibilità più equilibrata, sarebbe potuto diventare uno dei titoli in cima alla lista di questo duemiladieci, mentre ci si dovrà accontentare di vederlo vivacchiare soltanto a metà classifica, nonostante le potenzialità espresse e le sequenze più riuscite.
Del resto, non è mai facile trattare un tema scomodo, legato al contempo al sociale ed al sentimento, come non lo è andare a toccare - per citare Kate Winslet nella spassosa Extras - quelle corde capaci di garantire l'Oscar come l'Olocausto o il ritardo mentale: il rischio di caduta è amplificato, così come quello di dare l'impressione al pubblico - o peggio, alla critica - di ricorrere ai più biechi trabocchetti sentimentali per catturare consensi e buone recensioni.
Per quanto fossi predisposto ad una stroncatura in questo senso, ammetto che non è affatto il caso di Precious, ma al contempo non riesco a considerare la pellicola stessa abbastanza da una parte, o dall'altra, per ricevere una sonora serie di bottigliate o un plauso memorabile.
Resta la semplice storia di una grande donna - e non intendo in senso fisico -, nata e cresciuta nella violenza e capace di trasformare la stessa nell'amore per i propri figli.
Considerando che esistono persone capaci di violarli - e, purtroppo, non parlo soltanto di Cinema e del padre di Precious, ma, purtroppo, di cronaca, come direbbe Lucarelli -, direi che, senza dubbio, è molto meglio un film che possa scuotere dall'ignoranza che non un'ignoranza capace di gettare una coltre di silenzio su drammi che non andrebbero mai taciuti.
In questo senso, la dedica a tutte le "precious girls" appena prima dei titoli di coda non risulta neppure lontanamente retorica.
Sembra, piuttosto, semplicemente giusta.

MrFord

"Stronger than yesterday
now it's nothing but my way
my loneliness ain't killing me no more,
I am stronger."
Britney Spears - "Stronger" -

martedì 28 dicembre 2010

Best of 2010: movies part 1 (N°20/N°16)

Ed eccoci, alfine, giunti alla classifica che, personalmente, attendevo maggiormente.
Devo ammettere che, rispetto allo scorso anno, sono rimasto un pò deluso scorrendo le uscite che ci hanno accompagnato in sala settimana dopo settimana, e mi sono accorto che la difficoltà sarà sicuramente minore di quella che avevo previsto in attesa di stilare la graduatoria: certo, non tutte le annate possono riservare contemporaneamente Gran Torino, Up, The wrestler e Bastardi senza gloria, giusto per citare i miei primi quattro della scorsa stagione in rigoroso ordine di posizione d'arrivo, ma onestamente mi sarei aspettato una lotta decisamente più serrata, lassù ai piani alti.
Ad ogni modo, scremando tutti i film visti - e soltanto quelli, anche se mi duole di essermene perso qualcuno che potrò recuperare soltanto nel 2011 - ho selezionato i venti che ho ritenuto migliori, anche se sto meditando un post speciale da dedicare almeno ai cinque peggiori ed un altro che menzioni tre titoli fondamentali nelle visioni di quest'anno che, con molta probabilità, vedranno la luce - e, dunque, saranno presenti nella classifica del dicembre a venire - con i prossimi dodici mesi qui da noi nel Bel Paese.
Ecco dunque le posizioni dalla venti alla sedici, con tanto di due righe sul perchè si trovino dove si trovano e link al post di riferimento:


N°20 - The killer inside me

Un pò Non è un paese per vecchi e un pò Le tre sepolture, il lavoro di Winterbottom, fedelissimo allo stupendo romanzo di Jim Thompson, non raggiunge i livelli delle due sassate appena citate ma riesce ad avvincere e mantenere il giusto equilibrio fra Cinema d'autore e popolare. 
Per l'annata magrina che è stata, tanto di guadagnato. 
Peccato solo che non sia stato sfruttato a dovere l'elemento disturbante della prima persona.


N°19 - Wall street: money never sleeps

Gekko reloaded vent'anni dopo.
Le realtà, sociali e tecnologiche che siano, sono cambiate, ma le regole che le sfruttano - così come le loro eminenze grigie - neppure per sogno.
Ed ecco il nostro squalo della finanza preferito imparare a sguazzare in un oceano forse più inquinato, ma dalle correnti conosciute a menadito.
Una prima parte al fulmicotone prima di un finale un pò bolso.
Sarà che Michael Douglas non è più un ragazzino. E neppure Charlie Sheen.


N°18 - The town

Bisteccone Ben Affleck sfodera cuore e coraggio per un action movie dalle profondità che vorrebbe tanto fossero come le sfumature di Michael Mann, anche se non lo sono neppure da lontano.
Eppure come regista il ragazzo cresce bene, conta su una schiera di attori di prim'ordine - sì, anche lui fa la sua figura! - e pone le basi per un futuro solido dietro la macchina da presa.
Deve soltanto trovare uno stile o una firma che possano renderlo unico.
Per il resto, sarà una passeggiata.


N°17 - Bright star

Il film che ha convertito Tarantino alla poesia, come potrebbe recitare una qualsiasi locandina promozionale.
Jane Campion si conferma la più grande regista al momento in circolazione - non me ne voglia la Bigelow, che resta comunque la mia preferita - con un'opera visivamente splendida, profonda e magica come una favola e struggente come solo il romanticismo sfrenato può essere. 
Autorialità in toto, ma mai davvero pesante o spocchiosa.

N°16 - Shutter island

Rileggendo il post risalente all'epoca della visione, ammetto di avere cambiato la mia opinione, sull'ultimo lavoro del Maestro Scorsese.
Pur se non all'altezza dei suoi capolavori - o del bistrattatissimo e da me tuttora amatissimo The aviator, che ancora ritengo una delle sue opere più interessanti -, Shutter island è un film capace di acquistare valore con il tempo e la riflessione, e a discapito di alcune sbavature ingiustificate della grandissima Thelma Shoonmaker al montaggio fornisce un'interpretazione tesa e spaventosa della psiche umana, nonchè una sorta di base di partenza per la riflessione portata a compimento da Nolan nel suo Inception - ma avremo modo di parlarne più in alto nella classifica -.
Inoltre, anche se già vedo alcuni storcere il naso in proposito, trovo che il finale sia assolutamente da paura.


To be continued...


MrFord


"Ci vuole una classifica,
e poi ci vuole una verifica,
ci vuole una classifica,
per sapere chi non merita."
Daniele Silvestri - "La classifica" -



lunedì 27 dicembre 2010

La banda dei babbi natale

Nonostante la simpatia che il sottoscritto possa provare per il trio formato da Aldo, Giovanni e Giacomo - quest'ultimo numerosissime volte mio cliente in negozio, persona squisita nonchè ottimo interlocutore cinematografico -, devo ammettere di aver assistito, dai bei tempi di Chiedimi se sono felice, ad un progressivo, inesorabile declino della loro vena non solo creativa, ma anche comica, innescando un progressivo processo di involgarimento che li aveva portati non solo alle pubblicità delle compagnie telefoniche, ma anche ad apparizioni senza senso in tv, nonchè al pessimo - ma proprio pessimo - Il cosmo sul comò, tanto terribile da farmi quasi scomodare il paragone con i peggiori cinepanettoni made in Italy firmati dai Vanzina e Neri Parenti.
Probabilmente illuminati da un momento di coscienza, i tre sono tornati sui loro passi confezionando un film che, senza infamia e senza lode, ricorda al pubblico i fasti dei loro primi successi al botteghino, abile mix di citazioni cinematografiche - non posso che apprezzare quella lebowskiana riportata al mondo delle bocce - ed umorismo non pesante e sguaiato, quanto più truffaldino e "della porta accanto".
Certo, questo non basta a rendere La banda dei babbi natale un film anche solo lontanamente interessante nel carnet di queste feste, ma almeno distingue lo stesso dalle peggiori schifezze che, puntualmente, in questo periodo vengono propinate al pubblico del Bel Paese, ed ha il merito di far sperare i fan del trio ad un ritorno ai suoi tempi d'oro, nonostante sia ormai palese la staticità creativa della scrittura dei lavori dei suoi componenti così come una pericolosa involuzione delle loro abilità attoriali - ricordate la scena del litigio nel già citato Chiedimi se sono felice!? Tutt'altra pasta! -.
Verrebbe quasi da lanciare una sfida, ad Aldo, Giovanni e Giacomo: perchè non prendersi un pò di tempo lontani da televisione e spot pubblicitari - incredibile osservare che lo stesso gestore telefonico che per anni li ha avuti come testimonial compare in un cartellone in bella vista anche in un paio di scene della pellicola, neanche fosse un produttore dispotico e dall'ego smisurato! - e tornare, fra due o tre anni, con un film scritto con il cuore, solido e tendenzialmente drammatico?
Perchè non mettersi in gioco, invece di sedersi sui soldi, e provare che non sono stati solo un fuoco di paglia come i peggiori dei Fichi d'India?
Rifletteteci, ragazzi, davvero.
Noi, intanto, cercheremo di farci bastare questo piccolo passo verso il passato quasi fosse una speranza per il futuro.

MrFord

"I'm going back to basics,
to where it all began,
I'm ready now to face it,
I wanna understand."
Christina Aguilera - "Back to basics" -  

Ratatouille

Cominciamo dal principio. Nel vero senso della parola.
Quando la classica lampadina Pixar zompetta per sostituirsi alla I appena prima dell'inizio del film: ma come!? Un lavoro degli Studios più incredibili del mondo in prima serata dopo L'attimo fuggente goduto nel pomeriggio!?
Troppa grazia dopo anni di astinenza da piccolo schermo!
Ma quale scelta avrà fatto Babbo Nachele, pescando dal nutrito cesto di pellicole indimenticabili del gruppo di lavoro nato da una costola di mamma Disney?
Julez, sfoderando il suo orecchio migliore e cogliendo le note soffuse della Marsigliese tra un saltello e l'altro della suddetta lampadina, ha azzeccato la risposta prima ancora che lo schermo avesse il tempo di confermarla.
Inutile dire che avere occasione, soprattutto per caso, di godersi ancora una volta le peripezie del topino Remy e del suo "aiutante" Linguini è un piacere non da poco, perchè i palati cinematografici vengono sempre più che soddisfatti - così come gli appetiti - dai prodotti Pixar, di certo tra i migliori che il Cinema d'animazione - e non solo - possa offrire al momento in tutto il panorama mondiale.
Confesso che, quando lo vedemmo per la prima volta in sala, considerai Ratatouille un prodigio di tecnica, un miracolo di narrazione ed una meraviglia per gli occhi, ma al contempo lo giudicai freddino rispetto a capolavori come Monsters&Co. o a personali cult come Cars - bistrattato dalla critica, eppure ancora oggi uno dei miei prodotti preferiti nella grande famiglia nata dalla geniale mente di John Lasseter -: avere occasione di rimetterci occhi e cuore è stato un ottimo modo non solo per passare parte della sera di Nachele, ma anche per rivalutare una posizione forse resa troppo algida dallo stupore per il livello di perfezione della produzione stessa.
Ratatouille è, al contrario di quanto avessi pensato in precedenza, estremamente divertente, ironico, fresco e sentito, con la sua paterna lezione associata alla figura dello chef Gusteau, romantico della cucina e difensore della creatività nascosta - almeno potenzialmente - in ognuno di noi: senza contare che il connubio tra commedia slapstick e romantica, filtrato attraverso il rapporto con la famiglia - fra i topi o in cucina - ed il ruolo metacinematografico della critica rende il piatto davvero succulento.
Tutto questo per giungere a quello che, a mio parere, è uno dei momenti di Cinema più riusciti, poetici e straordinari degli ultimi anni: la madeleine di Ego alla prima forchettata di ratatouille è una fotografia magica e straordinaria di tutto il potere della settima arte e della bellezza che è in grado di far esplodere davanti agli occhi di ogni platea.
E se è vero che "non tutti possono essere artisti, ma un artista può celarsi in ognuno", la critica alla critica del gelido Ego non è simbolo della spocchia di un regista, o una rivalsa contro chi elogia o stronca una qualsiasi pellicola, bensì una dichiarazione d'amore per un mezzo di comunicazione che ci nutre e coccola come la migliore delle cucine, e che acquista tanto più valore quanta più è la passione di chi lo prepara.
Pixar o no, per Ratatouille non c'è dubbio.
Gustarselo - che pare quasi un gioco di parole a ricordare Gusteau - è un piacere senza pari.


MrFord


"Just eat it, eat it, eat it,
get yourself an egg and beat it,
have some more chicken, have some more pie,
it doesn't matter, it's boiled or fried."
Weird Al Yankovic - "Eat it" -

L'attimo fuggente

Alcuni film hanno il potere, nonostante il sentimentalismo, il rischio di retorica, la capacità di parlare ad ogni tipo di pubblico, di riuscire a stupire anche quando si sono visti e rivisti, dando l'impressione di uscire arricchiti ad ogni passaggio sui nostri schermi.
Incrociato per caso in televisione - non mi capitava di vedere un film sul piccolo schermo da anni - mi sono goduto con mio fratello le vicende della setta dei poeti estinti come fosse la prima volta, stupito ad un tempo dell'ottima capacità di Peter Weir di confezionare un film costruito interamente sui sentimenti che non scade mai - o perlomeno, lo fa senza sputtanarsi - nel sentimentalismo da prima serata e della mia capacità di vivere intensamente le vicende del gruppo di protagonisti quasi avessi ancora la loro età, e fosse la prima volta dietro i banchi della Welton Academy a seguire le lezioni del professor Keating.
Interpretato magistralmente da Robin Williams - e divenendo il volto che l'attore avrebbe presentato nei suoi successivi dieci anni di Cinema -, Keating ha incarnato l'ideale di insegnante per generazioni di spettatori, trasmettendo la passione che, almeno nell'immaginario degli studenti, dovrebbe animare tutti coloro che esercitano questa professione fondamentale per la formazione dei giovani, in particolare ed in questo caso nel periodo dell'adolescenza, in assoluto il più difficile della crescita.
Eppure, con gli anni, è interessante anche pensare a quanto rischioso fosse il ruolo di Keating, così come ai potenziali pericoli cui lo stesso professore espone i suoi allievi sollecitandoli a liberare la loro natura più intima senza preoccuparsi troppo di ciò che va oltre il momento: terribile, in questo senso, la ferita lasciata dal suicidio di Neil nel cuore dell'insegnante, esempio della profondità nascosta e del valore di questa pellicola.
Ma andando oltre alla critica o alle formalità, rivedere L'attimo fuggente è sempre un piacere anche e soprattutto per il confronto con le diverse personalità del suo gruppo di protagonisti: personalmente, e pur rifiutando di riconoscerlo, la prima volta che lo vidi, in terza media, se non sbaglio, sono passato dall'associarmi a Neil al timidissimo Todd - che mi ricorda ancora oggi il Ford dei primi due anni di scuole superiori -, dal sorridere all'approccio di Knox con la ragazza dei suoi sogni all'adorare la spinta dirompente della spontaneità e dell'incoscienza di Charlie detto "Nuanda", pur riconoscendo che parte di quello stesso coraggio risulta strettamente legata alle sicurezze economiche della sua posizione sociale.
E passando dalla splendida scena della prima lettura dell'introduzione al libro di letteratura fino all'indimenticabile chiusura, l'intera pellicola diviene una sorta di romanzo di formazione ancora perfettamente in grado di smuovere lati nascosti o dimenticati e mostrare nuovi aspetti del diventare adulti sfuggiti alla visione precedente.
Tutto questo approvando senza riserve il motto dei poeti estinti, "andai nei boschi perchè volevo vivere con saggezza e in profondità, e succhiare tutto il midollo della vita, per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto".
Direi che, se non fosse che esinto non sono proprio e non ci tengo affatto ad esserlo - almeno per i prossimi settantadue anni - sono assolutamente membro della setta suddetta.
Anzi, facciamo così: almeno per oggi, chiamatemi capitano.
Oh, capitano, mio capitano!
Come scriveva il vecchio Walt Whitman.
Con quel suo viso "da pazzo con la bava alla bocca", una coperta "che lascia scoperti i piedi" ed il look da personaggio che pare uscito da Spoon River.
Anche lui doveva essere affamato di vita.
Come ogni poeta estinto degno di non esserlo.
Capitano Ford.
Anche solo un giorno.

MrFord

"We can beat them
just for one day,
we can be heroes
just for one day."
David Bowie - "Heroes" -





Labyrinth - Dove tutto è possibile

Passati (?) i bagordi del Nachele, torno alla carica con le visioni di questi giorni di cibo, festa e famiglia riscoprendo un altro classico della mia - e non solo - infanzia passato sugli schermi di casa Ford nella notte tra il ventiquattro e il venticinque con, fra il pubblico,  tre giovani scapestrati - cugini di Julez - che hanno potuto assaporare, loro che sono nati alle soglie del nuovo millennio, tutta la magia degli anni ottanta che ha cresciuto la mia generazione.
Labyrinth è stato, per il sottoscritto, l'evoluzione de La storia infinita e della sua meraviglia fanciullesca, una specie di versione glam e grottesca dell'avventura di Bastian e Atreiu: la sua protagonista, la giovane ed insofferente Sarah, aveva la caratteristica di risultarmi antipatica molto più del suo antagonista, nonchè vero cattivo della vicenda, quel Jareth magnetico e caratterizzato da una sorta di generosa crudeltà interpretato da un David Bowie in quel periodo in momentaneo impoverimento musicale ma ugualmente capace di trasformare in un palco anche il set di una pellicola fantasy.
Il vero tesoro di Labyrinth, però, è costituito dal lavoro incredibile che il regista Jim Henson - creatore dei leggendari Muppets - fece con i personaggi di contorno, le scenografie e le trovate visive costruite, probabilmente, con un budget limitatissimo ma dai risultati ottimi - le "mani parlanti" un esempio su tutti -: i compagni di viaggio di Sarah, dal gigantesco Bubo amico delle pietre - il mio preferito, allora come oggi - a Sir Didimus - impeccabile nel suo eloquio forbito così come in combattimento -, passando per il titubante Gogol risultano da subito indimenticabili, ed arricchiscono la storia presentando ottime caratterizzazioni ed andando a solleticare gli stessi tasti dell'anima mossi dal già citato lavoro di Wolfgang Petersen.
Ma la realtà dei fatti è che, per quanto distaccato e critico mi possa forzare di essere, adoro Labyrinth dal primo all'ultimo minuto, e credo, se la memoria non m'inganna, sia uno dei film che ho visto più volte nel corso della mia vita: anche oggi, a trenta e passa anni suonati, continuo ad emozionarmi nel vedere Sarah muoversi attraverso il labirinto verso la città di Goblin, scoprire che niente è come sembra, che tutto può essere piegato dall'immaginazione e dalla determinazione, o nell'assistere alla battaglia sotto le mura del castello di Jareth, o scoprire quanto può essere terribile la Gora dell'eterno fetore, danzare con Bowie e i suoi gnomi o vedere quanto grottesche possano essere le creature che popolano questo reame incantato.
Senza dubbio, questa incredibile pellicola di Henson è stata una delle pietre miliari della mia infanzia, nonchè uno dei primissimi colpi di fulmine della mia carriera di spettatore, responsabile quasi certamente di una parte dell'amore sconfinato che oggi provo per quella meraviglia che è il Cinema.
Ed è una soddisfazione osservare tre ragazzini cresciuti nell'epoca di internet e dei videogiochi, degli effetti speciali in digitale e della sospensione dell'incredulità restare a bocca aperta, senza cedimenti o colpi di sonno, alle due di notte, di fronte alla ricerca disperata di Sarah o alla magia di Jareth: fa quasi credere che, nella nostra camera, anche oggi, potremmo ritrovare, voltandoci, quei vecchi, strambi amici usciti dalla fantasia e sempre pronti a stare al nostro fianco.


MrFord


"What kind of magic spell to use?
Slime and snails,
or puppy dogs' tails
thunder or lightning
then baby said."
David Bowie - "Magic dance" -

venerdì 24 dicembre 2010

Best of 2010: games

Ebbene sì, è arrivato il momento, tanto per esorcizzare anche il lavoro, di parlare anche dei videogiochi. 
Il 2010 è stato l'anno d'esordio della Playstation 3 in casa Ford, e nonostante quello che potrebbe sembrare, sappiate che Julez ne ha usufruito quasi quanto il sottoscritto.
Il profluvio di classifiche di fine anno mi ha così spinto a calare una cinquina anche per i buoni, vecchi games, che con il passare del tempo - così come le serie tv - si adattano ai tempi e non solo migliorano qualitativamente, ma si avvicinano clamorosamente - avanzando nel loro progresso almeno quanto le console che li fanno girare - a mezzi di comunicazione come fumetto, letteratura, musica, televisione e Cinema.
Ecco a voi, dunque, travolto principalmente da ricordi e cuore, visioni e partite mozzafiato, il meglio dell'annata per i momenti da relax sul divano, controller alla mano e sguardo inchiodato al frame in arrivo:

5) Guitar hero: ispirato in parte da Californication e in parte dai cugini di Julez, e preso da un impeto di fanciullesca dispendiosità, spinsi per l'acquisto del bundle contenente l'intero set di strumenti di Band hero - chitarra, batteria, microfono -, cui fecero seguito i dischi dei giochi precedenti, che ora mi possono permettere di sfruttare il mio decisamente non spiccato talento musicale non solo "live" ma anche di fronte alla tv, mettendomi alla prova con classici come Free bird che so bene non riuscirò mai e poi mai - ma dico mai - a suonare come si deve con la chitarra vera. Il tutto senza contare che, turnandoci agli strumenti, in coppia abbiamo regalato scene a dir poco incredibili.

4) Batman Arkham Asylum: un gioco incredibile, graficamente, scenograficamente e a livello di regia e sceneggiatura, tanto da dare l'impressione di essere catapultati nel cuore di un film di Nolan. Stupende le ambientazioni, incredibile la carrellata di nemici del nostro uomo pipistrello, giustamente difficile - ma non impossibile -, ricco di enigmi ma mai snervante o noioso. Stilisticamente, forse, uno dei prodotti più incredibili mai realizzati.
Regalo di mio fratello, goduto ad ogni livello passandosi il controller con Julez.

3) God of war III: un personaggio unico, storia avvincente, azione mozzafiato, un'opening scene da far invidia a tutti i grandi kolossal del grande schermo. L'ultimo capitolo - per ora, fortunatamente - delle vicende di Kratos è un'esplosione di adrenalina e violenza, forza e dolore, tristezza e malinconia, eros e thanathos. Se i primi due capitoli hanno avuto il merito di fissare un nuovo standard per i giochi di questo genere, questo ha portato l'incredibile un passo oltre. Mitico.

2) Heavy rain: se Batman è la perfezione stilistica e God of war l'espressione massima di potenza e passione, Heavy rain rappresenta l'assoluta innovazione di un'esperienza di gioco nel 2010. Come Seven, più di Seven, viene da dire pensando al Cinema.
Una storia nerissima, tesa, sommersa da una pioggia pesante che strappa via l'anima, dalle molteplici conclusioni e possibilità sempre nuove. Senza contare la tensione accumulata ad ogni scena, confronto, indizio, possibilità di cambiare un destino - anche solo fittizio e ludico - o troncarlo. Se esiste una nuova frontiera del videogioco non ci sono sensori di movimento che tengano, la risposta è tutta qui.

1) Red dead redemption: il gioco dell'anno. Free roaming totale, grafica e scenari mozzafiato, una storia lunga ed avvincente, tutta la magia di casa Rockstar Games per una celebrazione della Frontiera filtrata attraverso gli occhi spietati e tarantiniani dei creatori della serie Grand Theft Auto. Chi ha pensato, scritto, elaborato un gioco di questo genere, oltre ad essere un genio della programmazione, un ottimo sceneggiatore ed un ispirato artista, ha avuto il merito enorme di creare uno dei protagonisti più tosti, cattivi ma giusti e cazzuti della storia del settore: John Marston.
Che è come un Clint un pò più giovane e rovinato.
Capirete che è come il pane, per il sottoscritto.
Se esiste un videogioco creato per il vecchio James, è Red dead redemption.

MrFord

"It's funny how fallin' feels like flyin',
for a little while."
Jeff Bridges - "Fallin' and flyin' " - dal film Crazy heart
 
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