mercoledì 19 maggio 2010

Il nastro bianco

"Ma allora tutti dobbiamo morire?"
"Sì, tutti quanti."
"Anche papà?"
"Anche papà."
"E anche tu?"
"Sì."
"E anche io?"
"Anche tu. Ma tra tanti, tanti anni."


Con lo stesso glaciale equilibrio della sorella quattordicenne al fratello minore, figli del medico di un villaggio nel Nord della Germania a un anno dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Haneke sviluppa una storia che è crocevia di noir, ghost story, dramma sociale e, a tratti, quasi un horror.
Giocando sulla narrazione del maestro del paese in tarda età, viene introdotto quello che, secondo la maggior parte della critica internazionale, è una sorta di studio di quei semi divenuti i germogli del nazismo, poco più di vent'anni dopo.
Eppure, nell'algido, terribile affresco de Il nastro bianco, è nascosto qualcosa di ancor più ancestrale e oscuro, perchè presente nella nostra natura di esseri umani a prescindere da Storia e politica, che anche l'immenso Kubrick nell'altrettanto immenso 2001: Odissea nello spazio aveva analizzato grazie alla sequenza delle scimmie, per inciso una delle più importanti e dirompenti della storia del Cinema.
Il Male, nel senso più grande e profondo del termine, diviene la scintilla all'origine di episodi che paiono seminare, serpeggiando, una maledizione per le strade del villaggio, colpendo indiscriminatamente i ceti più alti e più bassi della sua popolazione, e il fuoco che divampa nei cuori dei veri colpevoli, implacabili e freddissimi esecutori dei crimini più violenti mostrati nel corso dello svolgimento della trama.
Una trama che avvince e avanza facendosi strada tagliente come un rasoio, riflessione sul quell'abisso succitato in grado di far impallidire tutti i detenuti in coro di Cella 211, angioletti ai margini della società rispetto ai responsabili degli accadimenti di questo sperduto villaggio, stretti uno all'altro, a camminare tranquilli invece che passare il tempo come la loro età suggerirebbe.
Un film incredibile, crudele ed esteticamente splendido, capace di aprire ferite e gettarci sopra grandi manciate di sale.
Peccato solo che la regia di Haneke, formalmente ineccepibile, appaia anche più fredda del solito, il che, considerati i suoi standard, vale a dire che, fondamentalmente, il messaggio che passa da dietro la macchina da presa è che se il cineasta austriaco avesse deciso di girare "Pippo, Pluto e Paperino insieme allo zoo" il suo approccio sarebbe stato assolutamente identico - tranne, forse, qualche improvvisa uccisione qui e là-.
E questo, onestamente, è proprio un peccato.
Niente contro quei tre mattacchioni della Disney, ma è abbastanza inquietante pensare che l'emozione suscitata da un gruppo di bambini dediti alla violenza e in grado di esercitarla per poi celarla con la totale freddezza della negazione - e addirittura con un morboso interesse di stampo caritatevole/religioso - possa essere la stessa di un cane che parla e uno no accompagnati da un papero sfortunato.
Caro Michael, voglio credere - e sperare - che uscito dal ruolo di regista possa rimanere agghiacciato, sconvolto o turbato anche tu.
Perchè altrimenti sei quasi più pericoloso dei tuoi bambini di neve.

"Crazy babies never say die
born to live on a permanent high."
MrFord

1 commento:

  1. E se io ho'dda murì.
    E lui ha'dda murì.
    Allora tutti hann'a murì!
    Ha'dda MURI'!

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